Smuraglia: semipresidenzialismo? Ma la priorità non era la riforma elettorale?
Qui di seguito l'intervista al presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia, pubblicata oggi 7 giugno, sull'Unità.
Professor Smuraglia la convince l’iter di revisione costituzionale con comitato di esperti e commissione dei 40?
«Sono contrario a questa procedura. Perché la Costituzione parla chiaro con l’articolo 138. Esso riguarda singole leggi da cambiare e non un intero processo costituente come quello che si vuole. E per le singole leggi ci sono le apposite commissioni. Il rischio è quello di mettere in mora l’intera Carta, con una deroga all’articolo 138, che prevede ampie maggioranze, referendum e doppia lettura: vera e propria clausola di salvaguardia concepita dai Costituenti. Che andrebbe rafforzata prevedendo referendum anche in caso di maggioranze non dei due terzi».
Si dice: si tratta di mutare solo la seconda parte della Carta e non i principi fondamentali. Il semipresidenzialismo mette a rischio anche i principi base?
«Certo, si aprirebbe un cantiere che finirebbe per investire anche la prima parte della Carta, perché tutto si tiene in essa. E una repubblica non più parlamentare mette in questione la lettera e lo spirito di questa Costituzione. Generando così forti incoerenze tra prima e seconda parte di essa. Altro è la giusta manutenzione di aspetti non più sostenibili. Penso al bicameralismo perfetto, da sostituire con la specializzazione dei compiti o con la creazione di un Senato federale. E alla riduzione del numero dei parlamentari».
C’è stata un’ «accelerazione» sul tema semipresidenziale e la destra festeggia...
«Accelerazione che non comprendo. Le priorità sono altre a cominciare dalla legge elettorale e dalla grave crisi economica. Il semipresidenzialismo non è il diavolo, ma torno a dire: andrebbe riscritto tutto l’ordinamento costituzionale. Oggi il Presidente in quanto figura di garanzia presiede il Csm ed è l’apice delle forze armate. Con il nuovo sistema dovremmo lasciare queste funzioni a un Presidente eletto solo da una parte? In realtà siamo dinanzi a una sindrome: i torti della politica vengono scaricati sulle istituzioni, col miraggio di esecutivi forti. Ma è la politica che va riformata. Ciò che è accaduto alle ultime elezioni è dipeso dalla frammentazione e dalla crisi di identità dei partiti».
Cosa teme con l’elezione diretta di un Presidente che presiede il Consiglio dei Ministri?
«I poteri di un uomo solo al comando. E la diffusione di uno stile di governo che ha già dato cattiva prova con i cosiddetti governatori regionali, talora fonte di sprechi e arbitrii e soprattutto causa di svilimento del ruolo dei Consigli regionali. Inoltre c’è il punto del conflitto di interessi. Non possiamo rischiare di consegnare il Quirinale a qualcuno in posizione dominante nei media o in altri rami dell’economia. E non possiamo rinunciare, nella gravissima crisi che schiaccia il paese, al ruolo di salvaguardia e di controllo del Parlamento».
I partiti possono ancora esercitare un ruolo creativo e di argine?
«Sì, purché si autoriformino. Essi concorrono al bene pubblico ed è giusto finanziarli, in misura adeguata e senza eccessi. È dirimente che abbiano statuti democratici e siano sottoposti a controlli stringenti su regole e bilanci».
Torniamo al Presidente eletto. Alle varie obiezioni non si può aggiungere quella di essere un sistema scisso tra due possibili diverse maggioranze oppure troppo coeso, e con maggioranze totalizzanti?
«Sono problemi innegabili e che andrebbero visti caso per caso e nei singoli contesti storici. In Francia il sistema ha prevalso per la dirompente crisi algerina che ha spinto la Francia sull’orlo della guerra civile e per il ruolo carismatico di De Gaulle. Ma non possiamo dire che abbia sempre funzionato e al punto tale da doverlo imitare e trapiantare in Italia. Al contrario, proprio l’indebolimento dei poteri di controllo e delle garanzie potrebbe renderci inermi dinanzi alla criminalità organizzata e alle lobby. Né si può dire che una spinta presidenziale potrebbe migliorare la burocrazia. La macchina pubblica va riformata con semplificazioni e controlli di efficienza. Non con impulsi carismatici dall’alto. Ma a questo punto però faccio io una domanda: che fine ha fatto la legge elettorale? Era stato detto che era quella la priorità. Poi si è fatto il contrario e la si è messa in coda all’agenda»
Lei come spiega questo capovolgimento?
«Forse pensano di allungare la vita al governo e cosi di rafforzarlo. Invece potrebbe essere il contrario. Una intera riforma Costituzionale, oltre che non corretta per ciò che abbiamo detto rischia di essere una mina in quest’emergenza sociale».
E al Pd, che ha reincluso il semipresidenzialismo nella sua discussione, cosa consiglia?
«Non voglio intromettermi nella vita del Pd. Però la questione è molto seria e la responsabilità dei pericoli che corriamo è un po’ di tutti. Al Pd direi: pensate bene a quel che fate e a quali sono le vere priorità del paese. E soprattutto cercate di coinvolgere il maggior numero di persone in questa discussione».