Strage di Stazzema, il tribunale convoca l'ex SS
Il prossimo 1 giugno il Tribunale Militare di Roma riaprirà le porte alla storia. Si terrà infatti una nuova udienza del processo per l’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema.
Imputato per il reato di ‘concorso in violenza con omicidio continuata e pluriaggravata’ è Alfred Baumgart, all’epoca dei fatti militare delle forze armate tedesche col grado di sergente SS.
Erano gli anni della guerra in casa, dell’occupazione nazista dell’Italia con l’appoggio e l’aiuto dei fascisti di Salò. Gli anni della guerra totale, che travalicava gli eserciti per sfogarsi sulla popolazione civile, quella popolazione che subiva i bombardamenti, le requisizioni di viveri, le rappresaglie. Quella la cui esistenza veniva decisa a tavolino in base alle opportunità strategiche degli eserciti che si contendevano il territorio.
Era l’estate del 1944.
Il sud della penisola era già stato liberato dagli anglo-americani che avevano costretto i tedeschi a ripiegare verso nord. La ‘ritirata combattuta’ dell’esercito nazista doveva fare terra bruciata dietro di sé. Era un esercito arrabbiato, che dopo l’armistizio firmato dal re Vittorio Emanuele con gli Alleati, con premeditazione colpiva i civili perché colpevoli di essere italiani, quindi traditori del Reich.
Con questo scopo giunse in Toscana la 16° Divisione Reichsführer SS - a cui apparteneva anche il sergente Baumgart - macchiandosi di alcune delle stragi più disumane della seconda guerra mondiale come l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema.
Sant’Anna è un paesino in alta Versilia. In quei mesi di guerra era zona di sfollamento per quanti cercavano di sfuggire ai bombardamenti delle città e alla fame. Il 12 agosto del 1944, all’alba, alcuni reparti di SS circondarono il paese a cui erano stati condotti da guide fasciste. Gli abitanti, ritenendo che stessero cercando partigiani e forza lavoro da deportare, si preoccuparono di nascondere nei boschi vicini gli uomini giovani.
Restarono così solo donne, bambini e anziani. Poche ore dopo vennero massacrati con bestiale ferocia. I morti furono 560. La vittima più piccola aveva solo 20 giorni. Si chiamava Anna Pardini.
In seguito al ritrovamento del cosiddetto ‘Armadio della vergogna’ nel 1996, contenente fascicoli riguardanti le stragi naziste in Italia, si sono potuti avviare processi anche ai singoli militari - dei cui nomi si era così entrati in possesso - che avevano presumibilmente eseguito gli eccidi ‘obbedendo agli ordini’. Uccisioni che troppo spesso, come emerge dalle testimonianze dei sopravvissuti, avvenivano nella più spietata brutalità.
I familiari delle vittime ancora oggi aspettano giustizia. Una sentenza per impedire che la storia venga negata, rinegoziata, svenduta.
Fin dal 1944 si sono susseguiti diversi processi per l’eccidio di Sant’Anna. Prima per individuare le responsabilità; poi per incriminare i ‘vertici’, coloro che ordinarono ai soldati di sparare, bruciare, trucidare. Oggi si torna in aula per ribadire, di fronte al tempo che passa e che pare sdoganare la violenza e le dittature in un paese apparentemente senza memoria come il nostro, che i crimini di guerra non cadono in prescrizione, perché l’obbedienza a un ordine disumano è un crimine.
L’ex sergente Baumgart probabilmente non si presenterà in tribunale - come non si sono presentati imputati di altri processi quale quello di Monte Sole o di Cervarolo -, dimostrando una volta in più l’indifferenza verso i sopravvissuti e i familiari di quanti vennero uccisi in quel lontano 1944. Dimostrando inoltre la non necessità di rivendicare la propria eventuale innocenza o la propria ignavia nell’aver obbedito ad ordini superiori.
Ma questi processi non sono una vendetta. E non è fondamentale che il 1° giugno, all’udienza del tribunale a Roma, sia presente l’SS in congedo Alfred Baumgart. L’importante è che si continui a parlare di quegli anni, di cosa possa diventare un uomo se si lasciano passare logiche razziste e autoritarie, di come non si possa né si debba dimenticare.
Gemma Bigi