Capaci di intendere e di volere
di Marco Rossi, Zero in Condotta, 2014, pp.92, euro 10.00.
“…i martiri sono venerati: dei matti si ride – ed un uomo ridicolo non è mai pericoloso”, così scriveva il criminologo Cesare Lombroso nel suo ‘Gli anarchici. Psicopatologia d’un ideale politico’, ed è da intuizioni come questa che fin dall’età liberale i manicomi sono stati sempre più utilizzati come carceri ‘speciali’, fino ad arrivare ai numeri del regime fascista: circa un migliaio di internati per motivi politici, o meglio, di bio-politica.
E alla detenzione in manicomio degli antifascisti è dedicato ‘Capaci di intendere e di volere’, l’ultimo lavoro dello storico Marco Rossi (Zero in Condotta, 2014, 10.00 euro).
Consultando i fascicoli del Casellario politico centrale (Cpc), in cui sono archiviate le schede sugli oppositori, Rossi ha riscontrato che centinaia di donne e uomini sono stati ‘puniti’ nel Ventennio non solo con il carcere o il confino ma dentro strutture manicomiali.
Già all’epoca delle imprese coloniali fra Ottocento e Novecento chi si rifiutava di partire soldato spesso veniva ricoverato, un esempio su tutti quello dell’anarchico Augusto Masetti durante la guerra di Libia, rinchiuso in diversi manicomi per smorzare l’effetto della sua pericolosa insubordinazione.
La Grande Guerra poi ha reso in ogni paese belligerante l’aggettivo ‘disertore’ sinonimo di ‘matto’; e fu proprio questa guerra ad accelerare gli studi psichiatrici improntandoli non sul desiderio di curare quanto di scoprire i simulatori, quegli individui che si fingevano folli pur di non andare al fronte. Da qui una sempre maggiore caratterizzazione della psichiatria in senso punitivo, diffidente verso il paziente.
Tale approccio verrà poi ulteriormente esacerbato dal fascismo. Non a caso l’internamento di sovversivi sarà spesso stabilito dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato.
“Il manicomio è un campo di concentramento, un campo di eliminazione, un carcere in cui l’internato non conosce né il perché né la durata della sua condanna”. Questo scriveva Franco Basaglia negli anni ’70 rendendo chiaramente lo stato di alienazione e annullamento dell’individuo all’interno di mura invalicabili, sottoposto a trattamenti brutali che spesso generano un vero crollo psicologico, poi utilizzato per giustificare a posteriori la ‘detenzione’ in manicomi civili o giudiziari.
Fu questa la “Resistenza più difficile”, scrive Rossi, per lo più dimenticata già nell’immediato dopoguerra, perchè “in pochi volevano ammettere una sorte così inquietante”.
Ma a chi corrispondono i tanti nomi e volti rinvenuti nel Cpc?
Marco Rossi ha suddiviso i sovversivi in base alla catalogazione effettuata dalla polizia stessa: anarchici, comunisti, socialisti e repubblicani, senza partito, donne degeneri, antinazionali; da cui emerge l’appartenenza degli schedati per lo più a ceti popolari.
Ovviamente l’impegno politico era considerato indice d’inclinazione pericolosa, malata, non a caso gli anarchici erano definiti ‘naturalmente predisposti’ alla pazzia, talvolta affetti da ‘altruismo morboso’; i comunisti invece erano ritenuti ‘suscettibili di ravvedimento’ benché preda della ‘follia bolscevica’.
Un esempio su tutti di oppositore internato è quello di Argo Secondari, il fondatore degli Arditi del popolo, rinchiuso in manicomio nel ’24, in seguito ad un’aggressione squadrista da cui aveva riportato una commozione cerebrale. Vi morirà nel ’42 senza che il fratello, medico a Boston e New York, ricevesse l’autorizzazione a portarlo con sé e curarlo.
Un altro esempio di oppositore reso muto è il due volte sindaco socialista di Molinella nel bolognese, Giovanni Massarenti, condannato a sette anni di confino prima per essere poi, nel ’37, condannato dal Tribunale Speciale al manicomio dal quale uscirà solo dopo la guerra e molto provato sia nel corpo che nella mente.
Non possiamo inoltre dimenticare due ‘famose’ internate: l’irlandese Violet Gibson, attentatrice alla vita del duce, e Ida Dalser, quella prima moglie di Mussolini così scomoda da venire sepolta viva in un manicomio; lo stesso destino che toccherà al figlio della coppia, il quale vi morirà a soli ventisei anni.
Tuttavia, negli anni della piena fascistizzazione della psichiatria, la categoria più numerosa nei manicomi civili e giudiziari sono gli antifascisti e i sovversivi generici. Negli anni ‘30 si può finire internati per semplici offese al duce, perché omosessuali o donne apertamente contro l’autorità patriarcale - poichè il femminismo era considerato antifascismo.
‘Capaci di intendere e di volere’ svela molte storie inedite, aggiungendo un tassello – ancora poco studiato - al quadro della repressione fascista, contribuendo in generale ad una maggiore consapevolezza dei molti modi di imbavagliare la libertà di pensiero dall’età liberale in poi. Non a caso il libro è dedicato dall’autore a Carol Lobravico -attrice statunitense rinchiusa nel manicomio di Pozzuoli - e al maestro Francesco Mastrogiovanni.
Gemma Bigi