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Bruno Petriccioni

Nato a Verona il 9 luglio 1895, ucciso dai tedeschi a Moirago di Zibido San Giacomo (Milano) il 6 ottobre 1944, avvocato.

Laureato in Giurisprudenza, partecipa alla Grande guerra riportando gravi ferite e meritando il grado di maggiore. Poi la famiglia si trasferisce a Firenze, dove Petriccioni svolge l'attività di avvocato. A seguito delle leggi razziali si prodiga per aiutare gli ebrei perseguitati, molti dei quali riesce a far fuggire in Svizzera, tant'è che, in modo affettuoso, veniva chiamato "l'avvocato degli ebrei". Nel 1943, Petriccioni sfolla con la famiglia in Maremma, prendendo dimora a Villa Adua, vicino a Gavorrano. Dopo l'armistizio, l'avvocato si adopera subito per organizzare la Resistenza, tenendo i collegamenti tra il comando del "Raggruppamento Bande" di Siena e le formazioni partigiane che si andavano formando nella zona. Si legge, tra l'altro, nei rapporti ufficiali, che "il Maggiore Petriccioni si distinse in questo ruolo per ardimento, abilità, tenacia e fede, pagando sempre di persona, e [...] seppe far nascere quasi dal nulla i primi nuclei partigiani". Grazie alla fiducia goduta e al suo ardimento, gli fu affidata una missione pericolosissima. Nottetempo Petriccioni si imbarca a Cala Martina verso la Corsica, per raggiungere le truppe anglo-americane e collaborare a un eventuale sbarco alleato nel golfo di Follonica. Cosa successe in quel tragitto non si sa. Ma una lettera, datata Spezia il 28 luglio 1944, giunge alla sorella residente a Roma. La missiva dice: "Cara Cina, (soprannome con il quale l'avvocato chiamava la sorella Erodiade), sono prigioniero dei tedeschi da tre giorni. Non so quale sarà la mia fine. Tutto quello che ho fatto l'ho fatto per la nostra cara Italia che è diventata un mare di sangue, di dolori, di miseria e di rovine... Non ho paura di morire, ma piango la mia cara Margherita (la moglie) e i miei tre bimbi che per me sono tutta la vita e per loro non ho mai visto altro che sacrificio e lavoro. Penso con terrore a lasciarli soli al mondo senza una guida in questi tempi tanto difficili. La mia cara Mirka, la mia cara Nadia e il mio caro Gaddo sono davanti ai miei occhi. Li affido alle tue cure perché Margherita dopo la perdita del caro Valfredo ha perduto ogni forza ed ogni volontà. Mi raccomando tanto Gaddo e Nadia la cui salute è debole. Le raccomandazioni da farti sono molte... [...] Mi affido al tuo affetto, a Gaddo ogni sei mesi fategli fare i raggi e tenetelo molto all'aria aperta. Baciami tanto mamma e babbo che poveretti nella loro vecchiaia vedono morire rapidamente la loro famiglia; già due morti in un anno e con me sarebbero tre. Non ho il conforto di avere con me nessuna fotografia poiché mi hanno pescato in acqua in mare e quindi ho perduto tutto. Salutatemi tutti i miei amici di Roma...". Arrestato dai tedeschi a La Spezia, Bruno Petriccioni viene tradotto a S. Vittore, dove subisce un processo sommario; la sera del 6 ottobre i tedeschi lo caricano su un camion e quando giungono all'altezza di Moirago, lo buttano dal mezzo in movimento e lo eliminano a fucilate, lasciando il cadavere sulla strada. Petriccioni sarà sepolto nel locale cimitero; dopo la Liberazione, finita la guerra, la salma sarà traslata a Roma nella cappella di famiglia e infine nel Cimitero del comune di Follonica, dove risiede la figlia Mirka. A Bruno Petriccioni, Nedo Bianchi ha dedicato il libro Intervista alla figlia; del valoroso avvocato si parla nel volume di C. Biscarini, Storia del Raggruppamento Monte Amiata, FM Edizioni 2006.

n.b.