Dante Castellucci
Ricordare il partigiano "Facio" significa anche rievocare una tragedia della Resistenza avvenuta sui monti ai confini fra Parma, La Spezia e l'alta Lunigiana, quindi rivivere, ma anche ripensare, a quel clima di isolamento, assedio, sospetti, contrasti e anche ingiustificate rivalità. Di quel dramma Dante Castellucci, nome di battaglia Facio, fu protagonista e vittima innocente. Guerrigliero coraggioso, autore di esaltanti imprese contro nazisti e fascisti, comandante amato dai suoi uomini e dalle popolazioni di quelle valli, cadde sotto il piombo di un plotone di esecuzione composto da partigiani. Era l'estate del 1944, nella zona di Pontremoli. Aveva 24 anni. Negli anni successivi alla Liberazione la vicenda fu oggetto di indagini e inchieste, anche da parte di magistrati; purtroppo senza giungere ad una riabilitazione piena. Giunse invece, nel 1963, per il partigiano Dante Castellucci, l'eroico Facio, la medaglia d'argento alla memoria. Inaspettata. Una sfida, una beffa o un riconoscimento tardivo? Propende per la prima ipotesi lo storico Carlo Spartaco Capogreco, nel suo notevole libro Il piombo e l'argento (pubblicato da Donzelli editore nel 2007). Nato nel 1920 a Sant'Agata d'Esaro, in provincia di Cosenza, aveva vissuto quasi sempre in Francia, dove il padre fu costretto a fuggire dopo avere schiaffeggiato un notabile del paese. In Francia, Dante aveva studiato e anche lavorato. Suonava il violino, scriveva poesie, disegnava. Rimasto senza lavoro il padre, la famiglia nel 1939 ritornò in Calabria e qui Dante fu raggiunto dalla chiamata alle armi, alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia. Designazione fronte alpino. È durante una convalescenza al suo paese, sul finire del 1940, che Dante farà il primo incontro determinante per la sua futura vita. Diventa amico di Otello Sarzi, (diciottenne militante antifascista), componente della famiglia di attori e burattinai, già nota in quei tempi e diventata famosa nel dopoguerra. Nel 1941 Dante è nuovamente in caserma: farà parte dei 250.000 soldati inviati in Russia con l'Armir. Sul finire del 1942 rimane ferito durante la "seconda battaglia difensiva del Don" e, trasportato in Italia, è ricoverato in vari ospedali per mesi. Durante la convalescenza, raggiunge Otello Sarzi e la sua famiglia a Campogalliano, vicino a Modena. Artista per temperamento, Dante entrò con naturalezza a far parte della famiglia e della compagnia teatrale che, con un tendone, girava per i paesi dell'Emilia. Diventa attore, dipinge le scene, suona il violino e la chitarra, e come tutti i Sarzi (che nascondono pure una tipografia clandestina), svolge attività antifascista. Giunge così il secondo incontro decisivo: quello con la famiglia di Alcide Cervi con i suoi sette figli, nella cascina ai Campi Rossi nel Comune di Gattatico. Ora l'attività antifascista è più intensa, la Resistenza è già iniziata, prima ancora dell'8 settembre. Dante si trasferisce in casa Cervi, partecipa all'organizzazione della fuga dei soldati stranieri, prigionieri nei campi di concentramento. Ed è qui, nella casa dei Campi Rossi, che insieme ai fratelli Cervi viene catturato dai fascisti e dai tedeschi. Fingendosi soldato francese viene rinchiuso in un carcere diverso da quello dei partigiani. I sette eroici fratelli Cervi vengono fucilati. Lui riesce a fuggire e a raggiungere i monti del parmense e le prime bande della resistenza armata, dove si distingue in ripetute azioni di guerriglia. Una in particolare è da ricordare, quella del Lago Santo, montagna dell'alta Val di Parma, 1508 metri sul mare: è il 18 marzo 1944, sono in corso rastrellamenti nazifascisti e nove partigiani guidati da Facio, giungono nel rifugio "Mariotti", una palazzina dalle grosse mura con inferriate alle finestre. In riva al lago dovrebbe convergere in quelle ore il resto del distaccamento "Guido Picelli". Ma verso l'imbrunire il gruppo è circondato da un centinaio di tedeschi e fascisti ben armati, al contrario dei ribelli dotati di armi leggere per rapidi colpi di mano. I nove uomini decidono di battersi. Il rifugio diventa una trincea. Il combattimento dura dal pomeriggio fino a notte e poi riprende all'alba sino a quasi sera; i partigiani sono esausti, alcuni feriti, quando gli assedianti abbandonano il campo lasciando 16 morti e 36 feriti. La battaglia del Lago Santo diventa un episodio leggendario: su una facciata del rifugio, ora c'è una lapide con i nomi dei vittoriosi combattenti. E anche Facio diventa una leggenda. Forse il suo comportamento insofferente alla disciplina, unitamente a invidie, risentimenti, contrasti, provocano quel tragico processo nel quale Facio viene accusato di avere sottratto con il suo gruppo un "lancio" destinato ad altri e la piastra di una mitragliatrice. Lui rimane così incredulo, umiliato e deluso, che rinuncia a difendersi e anche a fuggire, come i suoi uomini gli chiedono. È fucilato all'alba del 22 luglio 1944. La stessa data riportata nella motivazione della Medaglia d'argento nella quale si legge: "Valoroso organizzatore della lotta partigiana, incurante di ogni pericolo, partecipava da prode a numerose e cruente azioni. Scoperto dal nemico si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto. Esempio fulgido del più puro eroismo".
(c.r.)