Domenico Cicala
Da giovane aveva aderito alle idee socialiste del primo Novecento alimentando la sua formazione umana e politica in senso liberale e antifascista; sarà proprio in questa direzione che indirizzerà la sua azione umana e professionale quando negli anni tristi della ritirata nazista e dei rastrellamenti tedeschi si troverà a svolgere il suo lavoro di segretario comunale a Filettino (FR), posto tra il Lazio e l'Abruzzo, in cui più ferocemente si manifesterà la crudeltà nazifascista.
Nel 1944, proprio nel comune di Filettino, Domenico Cicala con il valido appoggio della moglie, Anna Longo, aveva dato vita nella propria casa ad un vero e proprio punto di riferimento e di aiuto per diversi prigionieri alleati provenienti dal campo di concentramento di Fara Sabina (RI) e diretti al sud; tra di loro c'erano: gli inglesi, il capitano Leslie Pitts, gli ufficiali di Marina Arthur Millinghton e Frank Siton, il francese Emile Journaux, i greci Pantasis e Dimitrio.
Cicala era in stretto contatto con il gruppo partigiano che si era formato a Filettino di cui facevano parte il filettinese Giuseppe Latini, nobile figura di patriota, gli ufficiali superiori del Genio Aeronautico: Pietro Noto, Umberto Tolino e Elio Albanesi, i tenenti Stefanelli, Stazio ed altri antifascisti, nonché i fratelli Durante: Mario, Bruno e Faustino.
Di questi ultimi, i primi due saranno martiri della Resistenza, uccisi dopo crudelissimi sevizie nei pressi di Avezzano (AQ), il terzo sarà internato nel campo di concentramento di Cinecittà da cui riuscirà a fuggire nascondendosi poi a Roma.
Nell'aprile del 1944 un paracadutista italiano di nome Bruno Castellani, che avrebbe dovuto agire per conto degli alleati, fu catturato dai tedeschi a Trevi nel Lazio passando subito alle loro dipendenze e, pur di avere salva la vita, rivelò i nomi di tutti gli antifascisti della zona tra cui quello di Domenico Cicala.
Il 1° maggio 1944 Domenico Cicala fu arrestato nel suo ufficio comunale di Filettino e sottoposto ad un primo sommario interrogatorio nel corso del quale gli fu assestato un potente colpo di frusta alla tempia che lo farà sanguinare abbondantemente e gli lascerà per sempre una profonda cicatrice.
Il palazzo comunale si trovava a pochi metri dalla sua abitazione quindi la moglie Anna assistette in preda alla disperazione alla cattura del marito, lo vide ammanettato e sanguinante, spinto a forza su una camionetta, presa dall'angoscia urlò e pianse ma contro di lei furono sparati dei colpi dalle SS, fortunatamente senza alcun esito.
Domenico Cicala intanto era stato condotto a Trevi nel Lazio (FR) dove fu barbaramente interrogato e percosso per due giorni; il 3 maggio venne trasferito nel carcere giudiziario di Tagliacozzo (AQ) dove si decise di fucilarlo il giorno successivo alle ore 16.
La moglie Anna intanto si era adoperata in tutti i modi per salvarlo dalla morte presentandosi il 2 maggio con il figlio Alfonso di nove anni all'ambasciatore tedesco Rahn che si commosse alla vista di questa donna distrutta dal dolore e ai pianti del suo bambino, tanto che chiese al comandante tedesco degli Altipiani di Arcinazzo (FR) di sospendere l'esecuzione e di istruire un processo a cui sottoporre il Cicala.
Le SS però, aprendosi una fase procedurale, approfittarono per interrogarlo ancora con i loro ben noti tristi metodi: così per il povero Domenico si susseguirono quindici giorni di calvario in cui fu sottoposto a crudeli torture; fu frustato a sangue, percosso sulle palme dei piedi fino a quando furono talmente gonfi da non poter calzare le scarpe, oltre all'assalto di un cane lupo, al guinzaglio degli aguzzini che poi lo ritraevano per evitare lo sbranamento, fu ustionato in varie parti del corpo col sistema di dar fuoco ai peli che vi crescevano; tanto forti furono i tormenti inflittigli che egli stesso implorò i suoi torturatori di finirlo.
Domenico Cicala non rivelò nulla di quanto sapeva e così la mattina del 20 maggio si decise di trasferirlo nel carcere di San Domenico dell'Aquila.
Qui conobbe numerosi antifascisti, alcuni dei quali sottoposti a feroci supplizi non sopravvissero all'arresto, in particolare l'abruzzese Alvise Nuccitelli che morì poco dopo la Liberazione per le numerose ferite riportate a seguito delle torture durante gli interrogatori.
Il 24 maggio fu condotto dinanzi al Tribunale Militare dell'Aquila dove fu processato da una corte presieduta da un tenente delle SS e composta da due ufficiali della Werhmacht, dal pubblico ministero e dall'avvocato Ubaldo Bafile per la sua difesa.
La sentenza emessa fu di condanna a morte mediante fucilazione per tradimento ed assistenza a noti ex militari italiani e a prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento: su duecentocinquanta detenuti del carcere di San Domenico, dodici furono i condannati a morte, tra questi Domenico Cicala e l'ex paracadutista Fioravante Di Marco che purtroppo fu fucilato la mattina del 3 giugno.
Ormai sicuro del suo triste destino il Cicala consegnò all'Arcivescovo dell'Aquila Carlo Confalonieri, in visita ai detenuti del carcere, una lettera di addio per i suoi familiari, una copia della quale trovasi nell'archivio storico dell'Arcidiocesi dell'Aquila.
Intanto si era arrivati al giugno del 1944; l'avanzare della truppe alleate e i loro bombardamenti rendevano difficili e pericolosi i giorni ai soldati tedeschi che furono costretti a ritirarsi verso il nord Italia portando con loro Domenico Cicala e gli altri condannati a morte per l'esecuzione della condanna.
La disperazione ed una buona dose di coraggio animarono la volontà del Cicala che nella notte tra il 12 e il 13 giugno, mentre i soldati di scorta ormai stanchi sonnecchiavano, si lasciò silenziosamente scivolare in un fossato nei pressi di San Pellegrino di Norcia (PG).
L'allarme scattò subito dopo e i soldati tedeschi lo inseguirono ma persero le sue tracce in quanto aveva trovato un efficace nascondiglio in un querceto; dopo essersi riposato si mise in cammino a piedi in zone liberate percorrendo circa trecento chilometri, passando per alcune località abruzzesi come: San Giovanni, Montereale, in questa cittadina gli fu prodigo di cortesie un ex ufficiale italiano avv. Corrado Guarnieri, L'Aquila, dove fu acclamato da partigiani del luogo e ospitato dal collega segretario comunale, attraversando infine Tolico, Toccafondi, Roccadimezzo e Capistrello.
Nella serata del 22 giugno 1944 giunse a Filettino, accolto festosamente dai congiunti e dall'intera popolazione esultante che lo rivedeva tornato al consueto lavoro dopo 53 giorni di torture e tormenti.
Dopo essere stato in altri comuni del Lazio, arrivò a Formia nel 1955 dove svolse il suo lavoro fino al 1967.
Nel 1969 ottenne l'iscrizione all'Albo dei Giornalisti Pubblicisti avendo per vari anni collaborato con il giornale “Il Mattino” di Napoli in qualità di corrispondente da Formia.
Sempre a Formia si dedicò per quasi trenta anni ad attività benefiche in aiuto di famiglie povere, indigenti, invalidi e di quanti a lui si rivolgevano per un aiuto.
A Formia molti lo ricordano ancora perché a lui si sono rivolti per una domanda, una pratica da sbrigare, un sussidio ed altri bisogni, a tutti egli dava ascolto e aiuto a volte anche personale e diretto.
In breve si può definire Domenico Cicala un antifascista, un partigiano, un eroe della resistenza e un benefattore.
Interessante il suo diario di una vita scritto nel 1973 con le ultime parole: "dedico ai giovani questo mio diario affinché si ispirino alla condotta di un uomo che ha inteso la vita come una costante missione di coerenza e di fede”.
Domenico Cicala è morto a Formia il 16 luglio 1991.
Un posto di rilievo ha avuto nella sua vita la moglie Anna Longo per il suo continuo prodigarsi nell'ospitare e aiutare i prigionieri alleati nonché per la continua lotta sostenuta per salvare la vita del marito: a lei è stata concessa la Croce al Merito di Guerra.
Il Comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo maresciallo H.R. Alexander rilasciò a Domenico Cicala il 16.06.1947 un attestato di benemerenza (n.50084/7376) con la seguente motivazione: “ In segno di riconoscenza per l'aiuto nobile e generoso dato ai prigionieri di guerra alleati dopo la firma dell'armistizio con l'Italia nel settembre 1943”.
Il 02.02.1952 con decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26.01.1953 n.20, gli venne conferita la Croce al Valore Militare dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per attività partigiana con la seguente motivazione: "Segretario comunale di un paese sulle montagne di Abruzzo, posto di passaggio per le linee di combattimento, si prodigava con entusiasmo nella lotta di liberazione dimostrando di possedere belle doti di animatore e organizzatore. Tratto in arresto dalle SS germaniche e barbaramente interrogato, manteneva esemplare contegno, nulla rivelando. Condannato a morte, mentre veniva tradotto in altra località, riusciva arditamente ad evadere sotto il fuoco della scorta per subito riprendere la sua attività patriottica. Abruzzo, settembre 1943-giugno 1944".