Enrico Zambonini
Per sfuggire alla polizia, che era in procinto di arrestarlo perché professava idee anarchiche, Zambonini nel 1922 fu costretto a lasciare Villa Minozzo e a riparare in Francia. Si trasferì poi in Belgio, dove aveva trovato lavoro come minatore. Vi restò qualche anno, sempre sostenendo le sue idee. Nel 1931 tornò in Francia e poi, di lì, passò in Spagna dove, durante la guerra civile, combatté nelle milizie anarchiche. Ferito durante uno scontro con i franchisti, Zambonini rimase nella penisola iberica sino alla caduta della Repubblica democratica.
Quando, nel 1939, tornò in Francia, l'anarchico emiliano fu internato con tanti altri connazionali antifascisti e, nel 1942, consegnato alla polizia italiana. Dal settembre del 1942 al luglio del 1943, Zambonini venne confinato a Ventotene.
Riacquistata la libertà con la caduta del fascismo, l'anarchico tornò al paese natio, ma vi rimase inattivo pochissimo tempo. Dopo l'8 settembre 1943, ecco che il meccanico organizza un primo gruppo di partigiani a Secchio di Villa Minozzo.
La lotta contro i nazifascisti non ha il tempo di svilupparsi. Zambonini è arrestato e deferito al Tribunale speciale di Reggio Emilia che lo condanna a morte. Il 30 gennaio 1944, l'anarchico è portato al Poligono di tiro di Reggio Emilia con altri otto patrioti, tra i quali è anche il sacerdote don Pasquino Borghi. Davanti al plotone d'esecuzione, Zambonini lanciò il suo ultimo grido di sfida: "Viva l'anarchia!".
A Villa Minozzo, nella piazza del Comune, una lapide ricorda il sacrificio dell'anarchico.