Francesco Da Gioz
Aveva soltanto 14 anni quando il padre, emigrante, lo aveva portato con sé in Svizzera. Allo scoppio della prima guerra mondiale, il ragazzo era tornato in Italia per essere arruolato. Al fronte era stato gravemente ferito, ma finito il conflitto aveva ripreso il lavoro nelle miniere del bacino dell'Arsa (Istria). Proprio qui aveva cominciato la sua attività politica, contribuendo alla creazione della locale struttura del partito comunista e organizzando, contro il fascismo nascente, le "guardie rosse" della zona. Processato per la sua attività politica, perduto per rappresaglia il posto di lavoro, Checco - così lo chiamavano i suoi compagni - nel 1923 fu costretto a riparare in Francia. Rimase oltr'Alpe per dodici anni, poi, malato, decise di tornare in Italia e, nonostante l'infermità, si rimise all'opera per ricostruire, clandestinamente, un'organizzazione comunista in provincia di Belluno.
Subito dopo l'armistizio Da Gioz, nominato segretario della Federazione comunista bellunese, fu tra i principali organizzatori del locale movimento partigiano. A pochi mesi dalla Liberazione, Da Gioz fu arrestato dai tedeschi. Fu sottoposto a tortura, ma gli occupanti si scontrarono con il suo stoico comportamento e decisero di impiccarlo a pochi chilometri dalla sua casa.