Franco Martelli
Nel 1941 partecipò alle operazioni belliche in Slovenia, come capitano del Reggimento di "Cavalleggeri di Saluzzo". Nei giorni seguenti all'armistizio Franco Martelli, raggiunto il Friuli, si dedicò all'organizzazione del movimento partigiano e quindi comandò per oltre un anno la formazione "Ippolito Nievo", dipendente dalla 4ª Divisione "Osoppo-Friuli". Nel novembre del 1944, catturato dai nazifascisti, resistette per giorni e giorni alle più atroci torture, finché fu fucilato. La motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria dell'ufficiale dice "Organizzatore ed anima della formazione patriottica "Ippolito Nievo", dopo lunghi mesi di fecondo lavoro cospirativo, scoperto ed arrestato non cedette alle più dure sevizie con le quali il carnefice intendeva strappargli i nomi dei suoi collaboratori, orgoglioso solo di dichiararsi uno dei maggiori esponenti della "Osoppo". Condannato a morte, manteneva un contegno fierissimo e dignitoso. Affrontava stoicamente la terribile ora, ottenendo di essere fucilato al petto e di comandare il plotone di esecuzione e destando l'ammirazione nello stesso barbaro nemico. Cadde crivellato di colpi gridando: «Viva l'Italia libera». Esempio nobilissimo di altissimo amor di Patria, di eccezionale forza d'animo e retaggio luminoso per tutti i combattenti della libertà". Prima di morire Franco Martelli ebbe modo di scrivere al tenente Michele Galati, di Belcastro (Catanzaro), per raccomandargli i suoi quattro figli in tenera età. Galati li adottò ed oggi i figli dell'eroe della Resistenza portano il cognome Martelli Galati. Al maggiore Martelli, a Pordenone, non solo hanno intitolato un viale, ma al cimitero presso il quale è stato ucciso, hanno apposto una lapide. Un busto di Martelli, opera dello scultore Ado Furlan, è stato collocato nei locali del Centro Studi di Pordenone. Nel 2003, Fabio Tafuro ha pubblicato un libro dal titolo Franco Martelli - Storia di un protagonista della Resistenza pordenonese.