Vittoria Nenni
Figlia minore di Pietro Nenni, sposò giovanissima il cittadino francese Henry Daubeuf. Col marito, dopo l'invasione tedesca della Francia, Vittoria entrò nella Resistenza. Nel 1942, la giovane donna fu arrestata dalla Gestapo con l'accusa di aver stampato e diffuso manifestini antinazisti e di avere, con Daubeuf, svolto, soprattutto negli ambienti universitari, "propaganda gollista antifrancese". Vittoria fu deportata nel campo di Romainville. Il marito, con altri patrioti francesi, fu trucidato l'11 agosto 1942 nelle vicinanze di Parigi. A Mont Valerien una lapide ricorda l'eccidio. La figlia di Nenni fu deportata nel campo di sterminio nazista il 23 gennaio 1943. Avrebbe potuto salvarsi rivendicando la sua nazionalità italiana, che era stata notata da un ufficiale di polizia, ma rifiutò. Dichiarò di sentirsi francese e di voler seguire la sorte delle compagne di prigionia. Ad Auschwitz, Vittoria Nenni (pur non essendo comunista e neppure iscritta al Partito socialista), si unì al gruppo dei comunisti francesi. Con loro condivise la durezza della deportazione e, ammalatasi gravemente (le autorità militari sovietiche, trovarono negli archivi del lager una scheda di Vittoria Daubeuf; i medici del campo avevano scritto che la deportata n° 31635 era deceduta per "influenza"), non sopravvisse. Sulla teca che ad Auschwitz ricorda Vittoria Nenni, sono scritte le sue ultime parole: "Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla". Dopo la Liberazione, in Italia le strade di molti Comuni sono stata intitolate a questa vittima dei nazisti. Portano il nome di Vittoria Nenni pure asili d'infanzia e Sezioni del PSI. Nel 1988, le è stata dedicata anche la tessera del Partito socialista: riproduce uno struggente dipinto di Renato Guttuso.