Vittorio Barbieri
Un suo zio materno, il veronese Carlo Montanari, era stato impiccato a Belfiore (con Tito Speri e don Bartolomeo Grazioli) durante la dominazione austriaca. Forse la fine dello zio lo aveva indirizzato verso gli studi storici, tanto che Barbieri si era laureato in Scienze politiche con una tesi dal titolo: "Il diritto dei ribelli ad essere considerati belligeranti". Fatto è che all'inizio della Seconda guerra mondiale Vittorio Barbieri era già uno storico affermato. Chiamato alle armi, aveva partecipato alla campagna di Francia e a quelle di Albania e Montenegro, come tenente degli Alpini.
Allorché fu proclamato l'armistizio, il professore raggiunse Firenze, dove risiedeva la sua famiglia, e col nome di copertura di "Grimani" entrò nella Resistenza. "Grimani", assunto il comando del II Gruppo della Brigata partigiana "Rosselli", lo guidò per mesi in numerose, fortunate azioni contro i nazifascisti. Cadde alla vigilia della liberazione di Firenze, dopo aver ricevuto l'ordine di scendere dai monti con i suoi uomini per partecipare all'imminente battaglia. Nell'avvicinamento al capoluogo toscano, i partigiani di Vittorio Barbieri ebbero alcuni sanguinosi scontri con i tedeschi. Per meglio localizzarne le postazioni, "Grimani" decise di scendere a valle, in compagnia di un solo partigiano, in avanscoperta. Nella notte del 4 agosto, in prossimità di Fiesole, cadde nelle mani dei tedeschi che, dopo vani interrogatori e sevizie, lo fucilarono contro il muro di cinta della casa colonica "Paretaia", a circa un chilometro dalla parrocchia di Pagnolle. Qui, dopo la Liberazione, sulla strada che unisce Pagnolle a San Clemente, è stato eretto un monumento in ricordo del valoroso partigiano azionista.
La motivazione della MOVM a Barbieri dice: "Tenente di complemento degli alpini fu tra i primi ad intraprendere la lotta clandestina alla quale si dedicò con attività instancabile. Comandante della 2.a Brigata 'Carlo Rosselli' condusse più volte i suoi uomini alla vittoria. Dopo un violento combattimento contro il preponderante nemico, riordinate le forze superstiti, cercò di aprirsi la strada verso Firenze, nel supremo tentativo di continuare la lotta per la difesa della città. Catturato dai tedeschi mentre procedeva in avan-scoperta, assumeva, di fronte al nemico, con sublime gesto di abnegazione, ogni diretta responsabilità, dichiarando apertamente la propria qualità di Comandante e salvando in tal modo la vita al partigiano che lo accompagnava. Dopo atroci, sevizie sopportate con sereno coraggio, veniva fucilato. Fulgido esempio di dedizione alla causa della libertà".