Renato Berardinucci
Figlio di italiani emigrati nel Nord America, Berardinucci era tornato in Italia nel 1939 ed aveva frequentato il liceo a Pescara. Dopo l'8 settembre del 1943, il giovane era entrato, tra i primi, nelle file della resistenza abruzzese. Si era impegnato soprattutto, grazie alla conoscenza della lingua, nel dare aiuto ai prigionieri anglo-americani fuggiti dai campi di concentramento. Berardinucci divenne presto comandante di una banda partigiana e fu catturato dai nazisti proprio mentre, ancora una volta, stava portando in salvo, sulle montagne dell'Aquilano, alcuni paracadutisti alleati. Tradotto al comando tedesco di Arischia, il giovane partigiano fu condannato alla fucilazione insieme con altri prigionieri. Quando i tedeschi ebbero allineati i condannati contro il muro del cimitero di Arischia, Berardinucci, come ricorda la motivazione della decorazione al valore, "non si dava per vinto, ma con un gesto di sublime follia, si scagliava armato soltanto della volontà e della fede contro il plotone di esecuzione. Col gesto disperato che gettava lo scompiglio nelle file dei carnefici, egli dava a se stesso la morte degli eroi, ai compagni la salvezza e la libertà".