"L'ANPI non ha mai avuto e non può avere esitazioni nel condannare tutto ciò che di violento e odioso sia accaduto dopo la Liberazione"
Non voglio tornare nuovamente sul caso orribile di Giuseppina Ghersi, su cui si è molto discusso in questi giorni. Su di esso, l'ANPI nazionale (che certamente conta un po' di più rispetto alle manifestazioni di singoli iscritti), si è pronunciata praticamente subito, con un comunicato netto, preciso ed inequivocabile, sul quale anche i più forti detrattori non hanno potuto trovare alcunché da obiettare, tanto era chiara la condanna netta, ferma e senza riserve della drammatica vicenda che ha condotto alla violenza e alla morte una bambina, nel lontano 1945. Vogliamo solo ribadire, forte e chiaro, che l'ANPI non ha mai avuto e non può avere esitazioni nel condannare tutto ciò che di violento e odioso può essere accaduto dopo la Liberazione d'Italia e la splendida giornata del 25 Aprile. Per noi quello fu un momento emozionante e festoso, la riconquista della libertà e l'avvio alla democrazia, dove non c'era e non ci poteva essere spazio per l'odio, la brutalità e la violenza. C'è, però, un commentatore che, pur riconoscendo che il comunicato era chiaro almeno nella prima parte, non ci ha perdonato di aver detto nella seconda parte che nulla può incrinare la bellezza e l'importanza della Resistenza. Si è detto che si trattava di una frase “inutile”; e invece, come i fatti e le strumentalizzazioni di questi giorni hanno dimostrato, era soltanto una frase presaga di ciò che sarebbe puntualmente avvenuto, una serie di commenti che hanno tentato di rimettere in discussione la stessa Resistenza, come è abitudine e prassi “normale” dei revisionisti e dei nemici dell'ANPI, da sempre. Ho personalmente sostenuto, più volte, che la Resistenza, ricca di tante luci ha avuto anche qualche ombra, qualche pagina “oscura”; ma ho sempre ribadito la necessità di considerare il fenomeno nel suo complesso senza approfittare, appunto, di qualche “ombra” per rimettere in discussione tutto, a partire da quello che lo storico Pavone chiamava il valore etico della Resistenza. Questo vale per ciò che è accaduto nel periodo dal '43 al 25 aprile '45, pur nella necessità di contestualizzare alcune vicende nell'orrore complessivo di una guerra. Ma questo vale ancora di più per il “dopo” perché la violenza e la brutalità non hanno più giustificazioni o contestualizzazioni possibili, quando – appunto – l'evento fondamentale (la Liberazione) si è realizzato e compiuto. Su questo non abbiamo avuto e non abbiamo esitazioni, convinti come siamo che l'odio, la brutalità e la violenza sono e devono restare totalmente estranei rispetto al nostro modo di essere e di pensare. Inutili, dunque, i soliti tentativi di strumentalizzare una vicenda orribile (per le modalità e per l'età della vittima), che noi stessi abbiamo fermamente condannato e continuiamo a condannare.
Carlo Smuraglia
(da ANPInews n.257 - 20/26 settembre 2017)