Linguaggio e politica. Smuraglia: superato il limite
Quello che è avvenuto nei giorni scorsi in Parlamento non è uno spettacolo edificante, ma soprattutto non giova a nessuno, né alle istituzioni, né alla politica, né al Paese. C’è, ovviamente, chi pensa di trarne vantaggio, quanto meno ai fini della visibilità; ma anche questo è un “vantaggio” illusorio, perché non è affatto detto che tutti coloro che hanno votato “5 stelle” siano d’accordo con certi metodi; e poi il gioco allo sfascio è sempre pericoloso per tutti, compresi quelli che lo praticano. In effetti, si è vista una cosa diversa dell’ostruzionismo, che pure appartiene alla tradizione parlamentare.
Quello classico, dicono i testi, è il disegno dilatorio posto in atto da gruppi di minoranza per ritardare o impedire l’applicazione di una legge. E questo è noto all’esperienza parlamentare, che ne ricorda esempi clamorosi (il Patto Atlantico, la legge “truffa”, e molti altri, non sempre “pacifici”); in qualche modo fa parte anch’esso della tradizione parlamentare, così come ne fanno parte gli strumenti che, in mille occasioni, sono stati posti in essere per vanificarlo: ci sono state modifiche ai regolamenti parlamentari, sono stati sperimentati “rimedi” sul campo, come l’allungamento delle sedute, le votazioni cosiddette “a scalare”, e così via; e sempre ai Presidenti delle Camere è toccato il compito e il dovere di garantire e assicurare comunque la funzionalità del Parlamento.
Ma ora c’è qualcosa di sostanzialmente diverso rispetto agli esempi che tutti ricordano; dall’opposizione ad una legge si passa al tentativo di blocco di tutta l’attività parlamentare, ostacolando o impedendo anche il lavoro di Commissioni che si occupano di materie diverse e così via; ci troviamo di fronte ad un “ostruzionismo” così diffuso da non essere più tale, prospettandosi come impedimento dell’intera attività del Parlamento. Questo è inammissibile, ovviamente, perché al di là di questa o quella legge, su cui si può discutere all’infinito, il Parlamento deve essere in condizioni di funzionalità normale, proprio per rispetto della sua funzione e del diritto di tutti i parlamentari di esercitare il proprio ruolo nelle forme previste. È assolutamente evidente, per chiunque, che tra l’ostruzionismo e la “guerriglia” c’è una differenza abissale. In più, ci sono gli atteggiamenti e i comportamenti.
Tutti sanno che in passato ci sono stati anche momenti di scontro violento e addirittura fisico. Ma intanto, quei tempi sembravano superati; ma poi non mi pare di ricordare, anche nella mia non breve esperienza parlamentare, livelli di volgarità, di sessismo, di attacco furibondo alle persone, soprattutto a quelle collocate in posti di responsabilità, come quelli che tutta la stampa riferisce. Cosa c’entra, con l’ostruzionismo, l’accusa volgare, sessista, bieca, rivolta alle donne di un intero gruppo, con espressioni irripetibili? (sulle quali, mi sia consentito, non mi pare sia il caso di scendere sul terreno dell’ironia, perché l’unica risposta dovrebbe essere lo sdegno e l’esecrazione, non solo da parte delle donne, ma anche dagli uomini, che dimostrassero finalmente di sentirsi offesi loro, in prima persona, ogni volta che si fa del sessismo, del razzismo, della discriminazione, una presunta arma per un contrasto che dovrebbe essere solo di idee).
Come si collocano, nel quadro di un confronto che dovrebbe essere improntato al rispetto degli altri, l’insulto gratuito, l’offesa volgare e triviale a chi si potrebbe, al più, criticare? Che tipo di “critica” è dare del “boia” al Presidente della Repubblica? Oppure attaccare, come si fa continuamente, in aula e nel web, la Presidente della Camera Boldrini, sempre in forme specificamente sessiste, oltre che essere addirittura triviali? Cosa c’entra, questo, con l’ostruzionismo, il confronto parlamentare, la contrapposizione di idee? A leggere certe frasi e certe dichiarazioni, non solo dei “gregari”, ma anche dei capi, si ha l’impressione che di idee ce ne siano ben poche, se si deve ricorrere ad un linguaggio che non vorrei definire da caserma, per non offendere i militari.
Tutto questo è molto grave; ma ho la sensazione che non sia ancora percepito come tale ad ogni livello. Quando il linguaggio “osceno”, offensivo, oltraggioso diventa diffuso, c’è poco da scherzarci sopra; bisogna reagire con lo sdegno, la ripulsa, la condanna collettiva e totale, come esso merita. Ed altrettanto va fatto nei confronti dei comportamenti, quando eccedono qualsiasi limite e non trovano, né possono trovare, giustificazione alcuna. Sono state “sdoganate” troppe cose, in questo difficile periodo della vita del Paese, da parte di tutti. Abbiamo ironizzato sul “vaffa” “istituzionalizzato” di Grillo, ma poi, gradualmente, siamo andati sempre più in là, quasi senza più meravigliarci della piega che prendevano le cose.
L’ultimo insulto del parlamentare di Cinque Stelle alle parlamentari, l’ultimo, bieco, attacco di Grillo alla Boldrini, devono costituire il limite del non ritorno. Non deve essere consentito di andare più in la, né col linguaggio né con i comportamenti, altrimenti sarà la deriva e lo sfascio, non più sopportabile in un Paese civile. E non è questione di “moralismi”; è un problema di civiltà e di valori, di corretta definizione di quello che dovrebbe essere un comune sentire. In realtà, se guardiamo al passato, tanto per fare un esempio, il Parlamento ha avuto altri due Presidenti donne.
Avranno preso anche loro le decisioni che la carica impone, talvolta giuste, altre volte magari discutibili, ma non mi risulta che ci siano mai stati attacchi e manifestazioni di odio sessista, così violenti. E non mi si venga a raccontare che la Presidente Boldrini si è guadagnata questi insulti perché ha applicato la “ghigliottina”. A prescindere dal fatto che non è la prima volta che ciò avviene in Parlamento, la verità è che gli attacchi alla Boldrini sono iniziati subito dopo l’elezione a Presidente o quanto meno a breve distanza: forse meno evidenti e dichiarati all’inizio, ma ci sono stati, soprattutto, sul web e sempre da una parte perfettamente riconoscibile; poi hanno preso consistenza in aula ed infine si è arrivati alle recenti “volgarità” di Grillo e di alcuni dei suoi.
La verità è che la Boldrini è attaccata, perché è donna, presunto soggetto più debole, e perché, per alcuni è inaccettabile, che occupi una carica così elevata. Dunque, si esprime una fortissima carica sessista, mescolata ad un evidente disprezzo per le istituzioni, che si risolve in atti e dichiarazioni al di fuori di qualsiasi logica, anche di competizione civile. Purtroppo, siamo di fronte ad un degrado enorme, del costume, di comportamenti, del linguaggio, che non è ascrivibile solo ai difetti della politica che abbiamo più volte denunciato, ma ad una caduta inarrestabile di valori, contro la quale bisogna davvero reagire, e subito, perché non si tratta solo di manifestare la solidarietà (ovvia) ad una Presidente attaccata, colpita e ferita nel modo che sappiamo, ma di combattere la tendenza allo sfascio, in cui ci porterebbe un simile degrado, se lo lasciassimo andare ancora avanti senza una reazione veramente forte e diffusa.
L’ho già scritto e detto a proposito degli attacchi furibondi e diffusi alla Ministra Kyenge. Ormai, si è oltrepassato il segno e bisogna davvero verificare se non siano stati valicati i confini dettati dal diritto penale e da un sistema normativo che è nettamente contrario all’istigazione all’odio e alla violenza. Non si tratta di ricorrere alla repressione (anche se per molti versi sarebbe già giustificata), ma di suscitare un ampio moto di ripulsa nei cittadini, che invochi a gran voce il ritorno alla “normalità” costituzionale, al confronto serrato ma corretto, al rispetto delle istituzioni. Questo è, in realtà, il vero antidoto; finché troppi, su queste vicende riterranno di poterci passare sopra, con un sorriso o con l’ironia o in qualche modo con una forma di benevolenza, il degrado continuerà. È necessario, invece, che la maggioranza degli italiani, che - di fondo – è onesta, seria, civile, anche se si esibisce poco e non cerca visibilità, non darà vita ad una vera e propria sollevazione. Insomma, la politica non può, non deve arrivare a tanto.
Le istituzioni non possono essere svilite a questo livello, fornendo un immagine devastante, per un Paese già inquieto e angosciato per mille motivi. Oltre all’impatto immediato, del tutto negativo, c’è un effetto apparentemente secondario, ma invece importantissimo: dal Parlamento non possono giungere ai cittadini, ai giovani, messaggi così profondamente diseducativi, antidemocratici, spesso addirittura eversivi. Questo è un male grande, che poi è difficile riparare. Una volta, si diceva “torniamo allo Statuto”; adesso conviene dire che bisogna tornare al civismo, al rispetto reciproco, al valore delle istituzioni, che possono essere anche discusse, ma non gettate nella polvere. Certo, occorre anche uno sforzo collettivo, non solo per impedire che si raggiungano simili livelli, ma anche per prevenire le situazioni sulle quali, poi, si costruiscono atti, comportamenti, affermazioni profondamente contrari ai valori su cui dovrebbe reggersi il Paese e ai fondamenti su cui riposa la convivenza civile. Non bisogna fornire pretesti, per chi cerca solo di impedire od ostacolare questa o quella legge, ma punta sullo sfascio.
Ci vuole saggezza anche da parte dei governi (quante volte, il Capo dello Stato ha ammonito che non bisogna inserire argomenti troppo diversi e disomogenei in un unico testo legislativo ed a maggior ragione in un decreto legge?); occorre anche amministrare con cura l’agenda parlamentare, che deve sempre essere dettata dal Parlamento e non imposta dall’esterno; e questo per la semplice ragione che è il Parlamento che deve tener conto dei tempi e delle modalità necessarie per garantire a tutti la possibilità di esprimere il proprio pensiero. Non lo dico per muovere critiche, che non sarebbero di mia competenza; ma per indicare una via di saggezza, che tolga di mezzo i pretesti e consenta poi di reprimere – di pieno diritto – gli abusi e i giochi al massacro.
E poi si richiede più attenzione anche alla stampa ed ai cittadini, che sappiano valutare e giudicare, distinguendo tra ciò che è utile per la collettività e ciò che invece rischia di condurla alla rovina. Chi pensa di svolgere una sorte di “guerriglia” contro tutti, presentando un assurdo impeachment contro il Presidente della Repubblica (che si può anche criticare, ma col rispetto dovuto alla funzione), attaccando fortemente e volgarmente la Presidente della Camera, ostacolando non tanto l’iter di una legge sgradita, quanto e soprattutto la funzionalità di un organo che sta alla base della democrazia, cioè il Parlamento, deve trovare davanti a sé un “muro” virtuale, di contrasto, di sdegno, di richiamo ai valori democratici veri ed ai criteri cui deve ubbidire l’esercizio di una funzione pubblica (nel caso specifico, quella di parlamentare), secondo il disegno dell’art. 54 della Costituzione, che richiama i concetti di “disciplina e onore”.
Quale onore, quale dignità c’è nell’insulto, nel dileggio, nelle manifestazioni sessiste e nell’attacco sistematico, rivelatore di una mentalità contraria al senso comune, ai nostri fondamentali valori e perfino alla legge (mi riferisco ancora una volta alle triviali offese alla Boldrini, alla Kyenge, alle parlamentari di un gruppo parlamentare)? Contro tutto questo abbiamo il dovere di reagire, politicamente e culturalmente, mettendo a nudo cosa c’è dietro a tutto questo e qual è il significato di questo tipo di anomala “guerriglia”. E già che ci siamo, parliamo anche dell’uso di certe espressioni di alcuni appartenenti al Gruppo “5 stelle” ed al suo capo (“siamo la nuova resistenza”; sono un partigiano, guido la nuova resistenza, ecc.”).
È singolare, intanto, che queste espressioni provengano da un gruppo, di cui fa parte un parlamentare, che nei giorni scorsi ha preferito richiamarsi ad un detto celebre (“boia chi molla”); un detto che, chiunque sia, quello o quella che magari in altri tempi l’ha usato per primo, è diventato poi inequivocabilmente, per tutti, un detto fascista. Essere un giorno fascisti e un giorno “partigiani” non è da tutti. Ma tant’è: le parole si sprecano gettandole al vento. Purtroppo, sono parole gravi (non lo dico adesso ai “5 stelle”; lo dico da sempre a tutti coloro che amano chiamarsi “i nuovi parigiani” e richiamarsi, a sproposito, alla Resistenza). Sono parole, espressioni che appartengono alla nostra storia e qualificano una delle pagine più belle della stessa.
Dovrebbero essere utilizzate con rispetto e con cura, ricordando cosa c’è stato e c’è dietro a quelle parole: non solo i morti, che sono stati tanti (più di centomila), ma anche il sacrificio di tanti combattenti per la libertà, la Resistenza armata e non armata contro il fascismo e contro l’occupazione tedesca, l’impegno di tante giovani donne e di tanti ragazzi, che hanno fatto una precisa scelta di campo, quella della libertà; una scelta consapevole e densa di rischi, perché si moriva in combattimento, si poteva morire nei rastrellamenti, si poteva essere fucilati perché renitenti alla leva della “Repubblica” di Salò o semplicemente per rappresaglia.
Adesso dichiararsi “partigiano” o attribuirsi il nome di “nuova Resistenza” non costa niente, anzi lo si usa in piena tranquillità, ben pagati, in un luogo in cui si rischia al massimo uno spintone se gli animi si scaldano o l’espulsione dall’aula, se si valicano i confini del lecito. Bisogna dunque sapere che, oltre al rischio di mancare di rispetto alla storia, c’è anche quello di cadere nel ridicolo. Un rischio virtuale, peraltro, perché il senso del ridicolo viene presto superato dalla rabbia di assistere a tanta audacia: forse qualcuno di quelli che si attribuiscono il ruolo di “nuovi partigiani” è convinto che alla guerra di liberazione si andasse scendendo da comode automobili e riparandosi in ambienti ben riscaldati e protetti.
Ma la storia è ben diversa e parla di lacrime e sangue, di sacrifici, di una sproporzione immensa tra il volontarismo e l’inesperienza dei partigiani e lo strapotere di un esercito fra i più potenti del mondo; di episodi eroici e di quotidiana “normalità”, vissuta da giovani di vent’anni, così come da anziani e irriducibili antifascisti.
Ma la conoscono, questa storia? Penso di no, perché altrimenti forse non oserebbero pronunciare certe espressioni con tanta improntitudine. Si lasci, dunque, la Resistenza a quello che è stata e se possibile, si cerchi di esserne orgogliosi, di questa importante pagina della nostra storia; ma non si cerchi di appropriarsene, se non altro se resta ancora un po’ di senso del ridicolo. E soprattutto chiedo rispetto per coloro che, per essere stati partigiani, hanno perduto la vita o compiuto enormi sacrifici, perché questo Paese fosse libero e tutti (compresi gli attuali “guerriglieri”) potessero usufruire dei diritti fondamentali del cittadino.
So che in altre occasioni, c’è stato chi mi ha dato del fascista, proprio per aver invitato chi ne aveva fatto uso a lasciare certe parole alla storia e trattarle, comunque, con rispetto. Ma non è questo che mi interessa, visto che certi insulti qualificano solo chi li fa. Ciò che mi preme è il richiamo, ancora una volta, ai valori fondamentali su cui dovrebbe fondarsi questa Repubblica e che dovrebbero essere comuni a tutti i cittadini.
Se essi vanno perduti, un Paese va alla deriva; e questo, francamente, nessuno dovrebbe volerlo, anche perché poi, alla fine, l’alluvione travolgerebbe anche chi, incautamente, ha invocato o predicato la pioggia.
Una postilla: settimanalmente, scrivo queste note soprattutto per informare, suscitare riflessioni, provocare dibattiti e approfondimenti, naturalmente assumendomi tutta la responsabilità di ciò che scrivo. Oggi, però, credo di poter parlare davvero a nome di tutta l’ANPI. Abbiamo molti iscritti e, fra loro, opinioni e orientamenti politici diversi, che fanno parte del nostro pluralismo e non incidono sull’identità dell’Associazione. Ma di fronte alla difesa delle istituzioni, della buona politica, dei valori e dei princìpi costituzionali, non ci sono differenze tra noi, perché tutti abbiamo un sentimento ed una convinzione comune: che questo dev’essere un Paese democratico, civile, che si ritrovi nei valori della Resistenza, del rispetto di tutti, della libertà e della uguaglianza e trovi in tutta la Costituzione e in particolare nell’art. 3, il fondamento della convivenza civile.
E dunque, sono fermamente convinto di poter esprimere un opinione che è di tutta l’ANPI, contro il degrado, contro ogni forma di eversione, contro ogni forma di violenza. E dunque lo sdegno, la protesta, l’indignazione che emerge dalle mie note odierne non possono che appartenere a tutta l’Associazione, così come la solidarietà che esprimiamo, con forza, ma di cuore, a quanti sono stati e vengono colpiti e attaccati, in nome di una pretesa libertà di pensiero, di cui immeritatamente molti si trovano a godere.
Carlo Smuraglia