Migrazione, disumanità e secessione
Passando qualche giorno fa dalla stazione ferroviaria di Milano, ho avuto un’immagine terribile, di un inferno moderno. Leggiamo sulla stampa di questi migranti che arrivano dall’Africa, dalla Siria, dai Paesi orientali, fuggendo da guerre, persecuzioni, malattie, violenze, fame. Immagino il loro dramma, lo sfruttamento cui sono sottoposti dai moderni schiavisti, l’attraversamento di mari in condizioni spaventose, sempre in stretto contatto con la morte; ma, anche se proviamo emozione, si tratta sempre di immaginazione, di lettura di resoconti, di incomplete visioni televisive. Ma quando ci si trova di fronte alla realtà, sembra tutto diverso e peggiore, infinitamente più drammatico di ciò che abbiamo letto, sentito e immaginato. Centinaia di persone, con moltissimi bambini, in uno spazio ristretto e privo di tutto e di punti di riferimento in un mezzanino di stazione, sono uno spettacolo terrificante, un pugno nello stomaco, un contatto obbligatorio con la realtà, che ci fa vergognare di essere noi stessi, con mille problemi, ma lontani mille miglia dalle tragedie che queste donne, uomini e bambini devono affrontare. Sono provati dal viaggio, ma conservano una loro dignità, che rischiano di perdere solo quando la fame li attanaglia, quando arrivano le malattie, quando i bambini piangono “troppo”, non certo per capricci. Sono persone come noi, che vengono da Paesi lontani, soffrono avventure e trattamenti terribili, disperate, alla ricerca del modo per fuggire anche da Milano e arrivare nei Paesi del centro e nord Europa, che sperano più accoglienti e più in grado di offrire almeno una parvenza di lavoro.
Non sappiamo quale sarà il loro destino; forse riusciranno a salire su un treno, passare la frontiera e poi affrontare altri lunghissimi viaggi. Forse ce la faranno e troveranno davvero accoglienza e possibilità di vita. Lo speriamo; ma è già evidente che non sarà tutto così semplice e li aspettano altri orrori e dolori. Temiamo per loro che, ripeto, sono persone come noi, quale che sia il colore della pelle e l’abito che indossano. Siamo colpiti dalla incapacità del nostro Stato, dalla sua insufficienza; bravi, molti, a salvarli in mare, quelli che possono ma poi lasciati allo sbando. Quando pensiamo che c’è perfino chi specula e guadagna su queste tragedie, individuali e collettive, ci assale la rabbia dell’impotenza, della vergogna, dell’istinto di augurare chissà quali pene per quelli che le
Forze dell’ordine e la Magistratura riescono ad individuare. Ma poi ci accorgiamo che non è solo quello il problema: c’è una somma di fattori, che va dalla inefficienza alla speculazione; ed anche questo è un altro aspetto dell’inferno.
A mitigare queste immagini angosciose c’è solo lo “spettacolo” del volontariato; ce n’è molto, anche alla stazione di Milano, che si adopera, aiuta, nutre e cura, prodigandosi in ogni modo per assistere, anche moralmente, questi disperati. Sono il volto positivo dell’Italia, questi che si incontrano anche nei mezzanini della stazione e si adoperano senza tregua. Così come ritroviamo il volto positivo dell’Italia nei molti, soprattutto nelle molte, che senza indossare segni di riconoscimento, vanno a portare viveri, vestiti, medicine e qualcosa per i bambini. Sono insufficienti (quanti ce ne vorrebbero per assistere, come è accaduto in questi giorni, 450 persone, tra africani e siriani?). Mi piacerebbe incontrare anche qualche compagna o compagno dell’ANPI, naturalmente senza simboli o distintivi, ma solo per riconoscere che ci sono anche loro a ricordare a tutti (praticandolo) quei “doveri inderogabili di solidarietà sociale” che sono scritti a caratteri indelebili nell’art. 2 della nostra Costituzione. Ma ci saranno certamente, soprattutto le nostre donne, le nostre compagne, che dalla Resistenza, dalla Costituzione e dalla vita hanno imparato il valore della solidarietà. Abbiamo svolto anche noi, tramite mia moglie, la nostra piccola azione positiva, ma ovviamente non dirò quale, anche perché la ritengo comunque insufficiente – sia pure in mezzo al concorso e al contributo di tanti – per lenire davvero una situazione così drammatica e così grave.
Ma, andando avanti, sono stato sopraffatto dalla indignazione contro quest’Europa che non si decide a superare il proprio atavico egoismo e traccheggia perfino sulle “quote”, per le quali sembrava avesse assunto un impegno. Contro quella parte dello Stato italiano, che non riesce a far fronte a questi drammi e lascia alla loro disperazione, dopo lo sbarco, questi sventurati, non riuscendo ad impartire direttive serie agli organismi competenti, a controllare che una qualche forma di assistenza ci sia sempre (e senza abusi, speculazioni e corruzioni). A Milano, per esempio, ci sono volute ore e giorni di trattative tra le Autorità e le istituzioni competenti, per cercare una soluzione, tra discussioni infinite e poco fruttuose. Alla fine, si è trovata una sistemazione temporanea, (dal mezzanino a due negozi ancora vuoti, sempre in stazione), suscitando l’impressione (magari errata) che abbia prevalsola preoccupazione che i viaggiatori, provenienti anche da altri Paesi, si trovino di fronte ad una visione drammatica e tutt’altro che esaltante per una città come Milano. Lo spazio, comunque, sarà sempre ristretto e inadeguato ed i problemi saranno tutt’altro che risolti, in mancanza di una linea complessiva, praticabile e condivisa.
Infine, mi indigno contro l’indifferenza e il silenzio di tanti (troppi!). Ma soprattutto mi indigno contro la brutalità di certi discorsi di politici che “grattano la pancia”, ai peggiori istinti e perfino a quelle reazioni che pure possono essere “normali” in periodo di crisi, ma che non andrebbero strumentalizzate; contro l’assenza di umanità che trovo nelle loro parole, che non sono superficiali come potrebbero sembrare, ma sono molto peggio, perché si nutrono di egoismi e di bassezze. Ma non basta: l’indignazione non può non dirigersi anche nei confronti di quelle Autorità pubbliche (regionali) che dichiarano che nelle loro regioni non riceveranno più nessuno, con un’alleanza tra “Governatori” di tre grandi regioni del Nord, che dovrebbero essere le prime nell’opera di assistenza e nell’organizzazione del soccorso a coloro che ne hanno bisogno. Quale “disciplina e onore” (art. 54 della Costituzione) si può trovare in chi esercita una carica elettiva in questo modo, senza un briciolo di sensibilità o di solidarietà e senza rispetto di quella “dignità” della persona, su cui è imperniata tutta la Costituzione e che riguarda non solo i cittadini, ma tutti coloro che si trovano sul suolo italiano ed ai quali null’altro si può addebitare se non la ricerca di una possibilità di vita almeno decente? Ma c’è persino di peggio: qualcuno di questi politici che stanno cercando voti speculando sulla disperazione e sugli orrori cui altre “persone” (lo ribadisco) sono sottoposte, ha osato dichiarare che se si adotteranno misure che in qualche modo favoriscano l’assistenza a questi diseredati, “si occuperanno le Prefetture”.
Mettiamo insieme la presa di posizione dei tre “Governatori” e frasi di questo tenore e ci troviamo di fronte, ancora una volta, ad una Italia divisa in due, in cui il peggio si colloca proprio là dove sarebbe più facile e doveroso praticare la solidarietà; è questa la nuova forma di “secessione” dai poteri centrali e dal resto del Paese, di cui si era parlato anni fa e che ora ritorna in una veste ancora più inaccettabile? Io spero che non si vada avanti per questa strada; se così fosse dovremmo ribellarci tutti in nome di una Costituzione che parla di solidarietà, uguaglianza e di dignità. Non a caso, il Presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, ha esposto in una intervista ad un quotidiano, un’opinione molto decisa sulla linea adottata dal Presidente della Regione Lombardia, Maroni, definendola “in contrasto con la Costituzione”. Dunque, la mia speranza che non si vada avanti per la strada intrapresa da Maroni e dalle altre regioni (e più brutalmente da Salvini), non è tanto quella di un “ravvedimento operoso” (che mi sembra davvero improbabile) ma piuttosto quella di una risposta energica e ferma da parte delle Istituzioni centrali e di una vera rivolta morale, non solo dei tanti che si sacrificano facendo volontariato per garantire almeno un minimo a questi “stranieri”, ma anche dei moltissimi che finora hanno praticato la poco nobile arte dell’indifferenza e della rassegnazione. Una rivolta che consenta di premere su chi ha il potere di intervenire e di farci provare meno vergogna di essere cittadini con un tetto, una famiglia e mezzi sufficienti per vivere.