Paolo Diena
Figlio di un noto clinico torinese - che deportato dai tedeschi sarebbe stato ucciso in un campo di sterminio - aveva interrotto gli studi per unirsi, con il nome di Paolo Sala, ai partigiani della Valle del Pellice. Entrato in una banda dalla quale si sarebbe poi formata la V Divisione Alpina GL "Sergio Toja", mise la sua preparazione scientifica (si sarebbe dovuto laureare in medicina di lì a poco, tanto che dopo la Liberazione l'Università di Torino gli concesse la laurea "ad honorem") al servizio dei partigiani ed anche dei montanari del luogo. Nella primavera del 1944 il "dottore dai capelli rossi", come lo chiamavano tutti, si spostò in Val Chisone diventando l'ufficiale medico della I Divisione Alpina Autonoma "Adolfo Serafino". Durante i rastrellamenti dell'agosto 1944, che scompaginarono il dispositivo partigiano delle valli del Chisone e della Germanasca, Diena, esponendosi a gravissimo rischio personale, riuscì a portare in salvo i feriti affidati alle sue cure, celandoli in grotte ed anfratti e approvvigionandoli per lungo tempo. Nell'ottobre del 1944, mentre i nazifascisti si preparavano ad altri rastrellamenti nella zona, Paolo Diena decise di accompagnare sino all'ospedale di Torre Pellice, per farlo medicare convenientemente, un partigiano suo amico, Remo Raviol, gravemente ferito all'occhio sinistro da una scheggia di granata. Accompagnato il ferito, che aveva gli occhi bendati, per i sentieri della montagna sino a destinazione, Paolo tornò in valle e si fermò per la notte, con altri partigiani, in un rifugio di Cotarauta. Al mattino l'irrompere dei tedeschi e il disperato tentativo di fuga. Diena fu abbattuto con due colpi di fucile. Il fratello di Paolo, Giorgio Leone Diena - che si distinse nella Resistenza come comandante di distaccamento e poi come commissario della Brigata "R. Besana" della II Divisione Alpina GL del Cuneese - ha avuto modo di ricordare così "il dottore dai capelli rossi": «Era un giovane di grande umanità. Non era salito in Val Chisone per fare la guerra (era un obiettore di coscienza), ma per aiutare e prestare assistenza ai feriti. Per questo divenne mitica la sua infermeria. Di solito i ricoverati erano 10-12. Non solo bisognava tenerli puliti per evitare le infezioni, ma anche pensare a procurarsi il cibo occorrente. Difatti sovente Paolo cercava fin nella piana medicine e alimenti». Ora, nel comune d'Inverso Pinasca, una lapide ricorda: "Su questi monti / al compimento ormai / di un ultimo atto / di fraterno solidale amore / PAOLO DIENA / combattente della libertà / suggellava / con il dono di se stesso / la luminosa giornata della sua vita terrena".