Giuseppe Piancastelli
Piancastelli, socialista, dopo la scissione di Livorno aveva aderito al PCd'I. Sino al 1927 aveva svolto attività antifascista, continuando a lavorare come meccanico in una fabbrica di Torino. In quell'anno il giovane accettò di passare in clandestinità, come funzionario dell'apparato del suo partito. Appena un anno dopo, mentre si trovava nella tipografia clandestina dell'organizzazione, Piancastelli veniva sorpreso con altri compagni dalla polizia del regime. Arrestato e deferito al Tribunale speciale fascista, il 10 novembre del 1928 il funzionario comunista veniva condannato per reati d'opinione a 13 anni di carcere, che non scontò completamente perché nel novembre del 1934 sopravvenne un'amnistia. Fallito un tentativo di espatrio clandestino, il giovane antifascista decise di continuare l'attività clandestina in Italia. Riuscì a sfuggire alla polizia sino al dicembre del 1938, poi cadde nelle mani dei fascisti a Imola. Nuovo processo e nuova condanna, questa volta a cinque anni di confino, e trasferimento, il 21 marzo del 1939, a Ventotene. Nel luglio del 1940 il confinato venne colpito da un attacco di peritonite. Ai suoi lamenti, i dirigenti della colonia lo accusarono di simulazione. Quando, finalmente, venne deciso il trasporto del malato in una struttura ospedaliera, era troppo tardi: Piancastelli morì subito dopo il ricovero in una clinica di Formia.