Guido Petter
Il 19 maggio - mentre nel pomeriggio stava parlando a Spinea (VE) a un gruppo di giovani e ai loro genitori, come soleva frequentemente fare dopo aver lasciato la cattedra universitaria di Padova, dove nel 1958 aveva cominciato una prestigiosa carriera che l‘ha portato a diventare il più importante professore europeo di Psicologia dello sviluppo e dell'adolescenza - Petter era stato colto da un malore.
Il pronto ricovero all'ospedale di Dolo non è valso a Salvare il cattedratico, che la Presidenza della Repubblica aveva insignito della Medaglia d'oro per i benemeriti della cultura e dell'arte.
Durante la Resistenza Guido Petter era stato giovanissimo partigiano col nome di battaglia di “Nemo 3” in una piccola formazione operativa sulla sponda piemontese del lago Maggiore, poi con quello di “Renzo” nella Divisione “Mario Flaim”. Di quella sua esperienza aveva scritto in un dei suoi libri più famosi, uscito nel 1995 col titolo “Ci chiamavano banditi”.
Nell'immediato dopoguerra Petter aveva validamente collaborato all'attività dei “Convitti Scuola della Rinascita” e si deve a lui l'esperienza, unica nel suo genere, del recupero psicologico e culturale dei bambini orfani accolti nel “Villaggio Cagnola” alla Rasa di Varese.
Nella ricorrenza del massacro di 42 partigiani compiuto dai nazifascisti nel giugno del 1944 a Fondotoce (Verbania), l'illustre cattedratico avrebbe dovuto presentare il suo ultimo libro “La prima stella. Valgrande ‘44”, edito da “Interlinea”. La morte glie lo ha impedito.