I 45 giorni che sconvolsero l’Italia
di Gaetano Afeltra, Rizzoli, 1993, pp. 320
Pagine di storia e di divulgazione che si leggono d’un fiato per lo stile brillante con il quale sono state scritte da un testimone d’eccezione: Gaetano Afeltra. In un elzeviro (“Corriere della Sera”,19 giugno 1993) Carlo Bo ha scritto che Afeltra ci ha dato un libro che “per i meno vecchi o per i più giovani può diventare un prezioso manuale di storia civile”.
Afeltra, che al tempo dei fatti analizzati era il più giovane dei redattori del “Corriere della Sera”, ci racconta come furono vissuti nel giornale i giorni che vanno dal 25 luglio all’8 settembre 1943, rievocando fatti e atmosfere, dando la parola ai suoi colleghi, ricreando il clima di un periodo drammatico.
Non si limita, però, a questa ricostruzione, perché – con il sostegno dei documenti – fa parlare i protagonisti in quei momenti decisivi: non solo l’atto di accusa di Dino Grandi, che segnò la fine del regime, ma anche l’autodifesa che Mussolini scrisse sotto un altro nome un anno dopo, nonché la relazione del capitano dei Carabinieri che arrestò il Duce a Villa Savoia e la testimonianza del segretario particolare di Mussolini, Nicolò De Cesare.
La parte centrale del libro è dedicata al contributo della “gente del Corriere” nella Resistenza e per la Liberazione. Il compito affidato ad Afeltra dal C.L.N. non prevedeva solo di occuparsi dei giornalisti in clandestinità, ma anche di tenere contatti con gli operai e gli impiegati del “Corriere”. Egli era a conoscenza che all’interno del giornale c’era una cellula comunista, ma non sapeva chi ne fosse il capo, per poter entrare in contatto in vista di una azione comune. Tramite Riccardo Lombardi e il rappresentante comunista del C.L.N. fu fissato un incontro al cimitero di Musocco. Ad Afeltra erano stati indicati il numero del campo, della tomba e anche il nome del defunto. “Lì – gli disse Riccardo Lombardi – troverai un signore con aria molto raccolta”. Tutto funzionò. Il signore ai piedi della tomba si chiamava Alfredo Acquaviva (classe 1910) che, su suggerimento del partito, aveva risposto a un annuncio del “Corriere”, nel quale l’amministrazione di via Solferino chiedeva un fattorino. Acquaviva fu assunto e cominciò a funzionare come capo-cellula del PCI aziendale. Sotto la sua guida la cellula, già operante e che aveva provveduto a introdurre e a nascondere armi, per una eventuale difesa degli impianti, assunse un ruolo determinante. Si formò subito un C.L.N. aziendale, formato dai rappresentanti del PCI, del PSI e della DC.
Tra ricordi, sotterfugi, incontri clandestini, Afeltra evidenzia in particolare la larga partecipazione di giornalisti, operai e impiegati di via Solferino alla Resistenza: “Molti di noi ebbero fortuna, sia pure fra minacce, disagi, paure, fughe e riuscirono a scampare alla cattura, alla deportazione, addirittura alla morte. Altri pagarono duramente”. Quattro dipendenti lasciarono la vita in un lager. Un altro finì a “Villa Triste”, dove fu sottoposto a torture “che non lo piegarono, anche se lasciarono nel suo organismo conseguenze che lo fecero morire prematuramente”. Anche Indro Montanelli venne arrestato, carcerato a San Vittore, condannato a morte per “intelligenza con il nemico”, condotto a Gallarate in attesa della esecuzione e solo miracolosamente liberato.
Gaetano Afeltra arrivò da Amalfi a Milano, nei primi anni ’40 del secolo scorso. Dopo una breve esperienza all’Ambrosiano, fu chiamato al Corriere della Sera alla fine del 1942. È stato redattore, redattore-capo e vice-direttore del Corriere. Dal 1972 al 1980 ha diretto Il Giorno. Autore di vari libri (da ricordare: “Corriere primo amore” e “Missiroli e i suoi tempi”).