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Guerra partigiana

di Dante Livio Biancom, Einaudi, 2006, pp.LVI-152, euro 9,80

“È il diario di Livio – scrive Nuto Revelli nell’Introduzione – che diventa storia, il documento conclusivo di un’epoca grandiosa e irripetibile, l’atto di fede di un uomo che non vuole arrendersi. Scritto nei giorni compresi tra la smobilitazione e l’inizio della restaurazione, scritto concitatamente, di getto, risente del clima del momento: alcuni temi sono appena accennati, e non poche polemiche risultano sfumate, prudenti, quasi nascoste tra le righe. C’è in Livio la percezione esatta, c’è la fretta di fermare subito la straordinaria esperienza vissuta, prima che la nostalgia o il senno del poi la deformino con i miti”.
Nel libro, non ci sono protagonisti e tanto meno un protagonista. “Livio non parla mai di sé – sottolinea Norberto Bobbio nella Premessa – né in prima né in terza persona. Non ne sente il bisogno, perché è entrato talmente dentro alla storia che racconta da identificarsi con essa. La guerra partigiana ha anche quest’altro carattere, di essere un’impresa collettiva e anonima. Se c’è un protagonista, questo è la gente (anche popolo è parola troppo solenne e in fin dei conti enfatica). Dominante e illuminante ancora una volta è l’idea morale che sta dietro al comportamento degli uomini che agiscono in quel modo, vivono quella insolita vita, combattono e muoiono, per avere fatto una scelta di cui ciascuno porta su se stesso tutta intera la responsabilità: una di quelle idee morali, che poi permettono, a cose fatte, di dare un senso alla storia, e quindi di parlare sensatamente di grandezza e di decadenza delle nazioni, di svolte, di ritorni, di salti in avanti o di arretramenti”.

Dante Livio Bianco, nato nel 1909, avvocato, scomparso nel 1953 in una sciagura alpinistica, costituì la prima pattuglia della Resistenza piemontese. Nel 1945 successe a Duccio Galimberti nel comando delle formazioni di “Giustizia e Libertà”.