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Senza sapere da che parte stanno

Ricordi dell'infanzia e "Diario" di Roma in guerra (1943-44).

Padre Libero Raganella, Bulzoni Editore, 2003, pp.366, euro 21,00

Tra i diari scritti tra il 1943 e il 1944, su Roma occupata dai nazisti, spicca questo di padre Libero Raganella, nato il 7 maggio 1914 nel popolare quartiere di San Lorenzo, dove poi ha trascorso gran parte della vita, in qualità di sacerdote ed educatore presso la parrocchia dell’Immacolata e San Giovanni Berchmans e l’annessa Opera Pio X, dei padri Giuseppini del Murialdo.

Figura costantemente carismatica e di riferimento fino alla sua scomparsa (18 febbraio 1990). Il “diario” di padre Raganella prende le mosse, d’impeto, dai giorni “caldi e tersi” del luglio 1943, quando il quartiere San Lorenzo – dove sta svolgendo, da pochi anni, la sua missione di giovane sacerdote – è totalmente sconvolto dal primo, pesante bombardamento alleato su Roma.

A partire da questo dramma, descritto con particolare incisività e trasporto emotivo (come un vero reporter dal fronte di guerra), il racconto accompagna il lettore attraverso tutte le principali vicende dell’Urbe occupata dai tedeschi (le persecuzioni razziali, l’attività della Resistenza, la fame, la paura …), sino al giorno della Liberazione, nel giugno 1944.

Una sorta di compendio-affresco di quei mesi, che vede l’Autore protagonista di una difesa a oltranza della sua comunità, e di chiunque ne abbia bisogno, “senza guardare – come è riportato – da che parte sta”.

Annota padre Raganella: “Il commissario mi avverte che per questa notte è prevista una nuova caccia ai comunisti o ai sospettati di esserlo, sorprendendoli nel sonno e perquisendo il loro appartamento alla ricerca di materiale sovversivo. Mi fornisce copia dell’elenco, che gli è stato trasmesso, di coloro che dovranno essere prelevati dalle loro case nottetempo. L’operazione sarà compiuta dai fascisti, e il commissario dovrà fornire alcuni agenti di rinforzo. Corro da Renato. Anche il suo nome figura nell’elenco. Ci dividiamo i nomi di coloro che deve avvertire lui, e quelli che devo avvertire io. Anzi, per essere più solleciti, manda a chiamare d’urgenza tre dei suoi uomini fidati, in modo da ridurre al minimo il compito di ognuno e per farlo più celermente. La parola d’ordine è di non dormire in casa, e di far sparire qualunque cosa che possa attirare l’attenzione degli inquirenti. Le parole di ringraziamento degli avvertiti o dei loro famigliari, se assenti, mi accompagnano di casa in casa”.

In particolare, uno di questi gli disse: “Non avrei mai pensato che proprio un prete avrebbe aiutato un comunista”. Don Libero risponde al comunista: “Si tratta di salvare la gente ed evitare che cada in mano ai tedeschi. Quanto al comunismo e all’anticomunismo ci sarà occasione in tempi migliori di parlarne”.

Infatti il motivo dell’impegno dei religiosi in quel periodo era: salvare la gente. Al comunista don Libero precisò: “Io non sto né con voi né con nessuno. Sono un sacerdote e sto solamente con chi ha bisogno di me. Le idee politiche e personali non c’entrano. Si tratta di essere tutti uniti contro un comune pericolo… Poi ognuno tenga le sue idee. Non domando mai a nessuno sotto quale bandiera si è schierato. Se ha bisogno lo aiuto, per il resto sono affari suoi”.

Con l’aiuto delle suore, padre Raganella riuscì a mettere in salvo parecchi ebrei. Il 16 ottobre 1943, giorno della razzia nel ghetto, don Libero si trovava, con un gruppo di ebrei in fuga, nei pressi della stazione Termini. Il coprifuoco si avvicinava. Dove andare? C’era vicino il monastero di clausura di Santa Susanna. La superiora fece qualche resistenza ad accogliere gli ebrei, tra cui alcuni uomini. Alla fine don Raganella disse: “Madre, lei non deve aprire la porta, deve solo togliere il catenaccio. La porta la forzo io. Non sarà stata lei a rompere la clausura, ma solo io”.

Così il gruppo trovò ospitalità. Qualche giorno dopo, don Raganella andò a chiedere consiglio in Vicariato, la Curia diocesana di Roma. Aveva qualche scrupolo: “Hai fatto bene”, gli dissero. Due fratelli ebrei del quartiere San Lorenzo, alla ricerca di un rifugio per non cadere in mano dei tedeschi, gli si presentarono improvvisamente. La sistemazione fu trovata presso le Figlie di Maria SS.ma dell’Orto in via Tiburtina Vecchia. La superiora era favorevole, ma non aveva un nascondiglio sicuro: aveva già ospite il dott. Muller, un ebreo tedesco, che viveva a Roma da parecchio tempo. Alla fine fu realizzato, con l’aiuto di un muratore di San Lorenzo, un rifugio in cantina. Altri ebrei si aggiunsero nei mesi successivi a quelli già ospitati dall’istituto, dove don Raganella andava ogni giorno a celebrare la messa.

L’episodio che fa riflettere su quella che è stata la figura di don Raganella, nei giorni di Roma “città aperta” è quello della penultima domenica di aprile 1944. La messa di mezzogiorno della chiesa dell’Immacolata è affollatissima. Don Libero sta in sacrestia, in attesa che finisca, parlando con il sacrestano. Gli si avvicina un ragazzo, quanto mai preoccupato, e lo avvisa che fuori della porta principale c’è un gruppo di fascisti. Don Libero attraversa i banchi dei fedeli con tutta calma e dalla porta socchiusa dà un’occhiata nella piazzetta antistante. Due cordoni di fascisti armati fanno ala. Hanno organizzato una retata a sorpresa per la fine della messa. Don Libero pensa a uno stratagemma, tornando indietro fino al presbiterio; sale vicino al celebrante e si rivolge ai presenti, invitandoli a restare calmi e a non muoversi dai loro posti. Un brusio, un’agitazione si diffonde di banco in banco. Don Libero tranquillizza tutti. La sua strategia prevede che gli uomini e i giovani escano da una porta laterale, un po’ alla volta, alla spicciolata, per non destare sospetti. Al termine della celebrazione, donne e anziani escono – come raccomandato – dal portone principale. La chiesa in pochi minuti è vuota e don Libero con aria indifferente, mentre si appresta a chiuderla, chiede al più alto in grado dei fascisti il motivo di quello schieramento. La risposta: “Aspettiamo che tutti escano dalla chiesa”. La replica: “Ma sono già usciti tutti”. Il graduato: “Possibile? Abbiamo visto uscire solo donne e anziani. Gli uomini sono ancora dentro?”. Don Libero: “No. Le ripeto che la chiesa è vuota, la messa è finita. Io sono uscito per chiudere il portone. Se volete, controllate di persona”. Dal fondo della chiesa, il capo del manipolo di fascisti deve arrendersi all’evidenza e, rivolto a don Libero: “Può chiudere, ma questa è una cosa strana, che non riesco a capire”. Il rimando di don Libero fu: “Non si preoccupi per così poco. Di questi tempi sono tante le cose strane che non si riescono a capire”.

Nel diario gli episodi si susseguono con un crescendo drammatico, pieni di umanità e di grande carità verso il prossimo. Pagine che meritano di essere lette e fatte conoscere ai giovani. Per non dimenticare. L’introduzione al volume, a cura di Lidia Piccioni, ricercatrice di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma, affianca le pagine di padre Libero, proponendo, quali principali coordinate di lettura, i temi della città in guerra, la memoria e le sue forme, la storia di un territorio e dei suoi abitanti.

Mauro de Vincentiis