Il bambino. Varsavia 1943
Dan Porat, Rizzoli, 2013, pp.317, euro 15,00
“Esco nella strada che brucia! Intorno a me, tutto è in fiamme. Il ghetto è un mare di fuoco. È spaventoso. Nessuno sa dove scappare. Il muro del ghetto è completamente circondato, nessuno può entrare o andar via. I vestiti ci bruciano addosso. Il fumo ci soffoca. Molti, quasi tutti, invocano Dio...”.
Così nel diario ritrovato di una giovane testimone dell’annientamento del ghetto di Varsavia. È l’aprile del 1943 quando Himmler incarica il generale delle SS Jürgen Stroop di radere al suolo il quartiere e di sterminare i ribelli che pochi mesi prima erano insorti contro la furia nazista. La stessa sorte toccherà a tutti gli abitanti superstiti.
Tra loro c’è un bambino che, immortalato con le mani alzate e il volto impaurito, diventerà l’immagine simbolo dell’Olocausto. Ma chi è? Che ne è stato di lui? È riuscito a salvarsi? Per rispondere a queste domande, Dan Porat ricostruisce le vicende di quel giorno. Lo fa, ripercorrendo più di sessant’anni di storia, in un libro che intreccia le vite di quel bambino, di una giovane ebrea attiva nella resistenza e di tre soldati SS; un libro in cui, assieme alla narrazione partecipata di quel dramma, scorrono le fotografie selezionate da Stroop per documentare la “Grosse Aktion” nazista.
Per saperne di più, vedere in “Archivio Recensioni” la scheda del libro di Frédéric Rousseau “Il bambino di Varsavia”, nel quale l’Autore si interroga sul rapporto che l’opinione pubblica ha avuto e ha con quel “piccolo messaggero” di Varsavia.
Dan Porat ha insegnato Storia a Stanford e all’Università di Washington.