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Lipari 1929. Fuga dal confino

di Luca Di Vito e Michele Gialdroni, Laterza, 2012, pp. 381, euro 18,00

Dal “Popolo d’Italia” dell’8 settembre 1929: “Nella notte dal 27 al 28 luglio sono evasi da Lipari i confinati ex deputato Emilio Lussu, prof. Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti”.
Era una notte senza luna quella del 27 luglio 1929; alle 21,30 un motoscafo si avvicina alla costa di Lipari. Con i motori spenti, l’imbarcazione è ancora immersa nell’oscurità quando tre ombre, che hanno eluso la sorveglianza della milizia fascista e dei Carabinieri, la raggiungono a nuoto. E il motoscafo riparte.
Una settimana dopo, a Parigi, Gaetano Salvemini accoglie i tre evasi dal confino: sono gli stessi uomini che, pochi giorni dopo, fondarono “Giustizia e Libertà”.
“Lipari 1929” è la storia di quella fuga, un collage dei ricordi, delle lettere e dei dispacci dei protagonisti dell’impresa, dei testimoni e dei sorvegliati.


Per cogliere le ansie dei confinati, alcune righe del libro: “Si avvicina il Natale del 1927. La colonia si preparava a celebrare la festa. Erano già pronti gli alberi e i doni per i bambini dei nostri compagni. Quando ecco arrivare, nella notte, una nave da guerra. Sorpresa generale per il fatto straordinario. Scesero 200 carabinieri, militi, ufficiali, commissari, ispettori e il Procuratore del Re presso il Tribunale Speciale. Duecentocinquanta confinati furono interrogati il giorno successivo. A notte tarda duecento di essi furono messi in libertà. Solo allora il mistero si chiarì. Si trattava di un “complotto” contro la sicurezza dello Stato, miracolosamente sventato. Quattrocento deportati politici, in un’isola così vigilata, mettevano in pericolo l’autorità dello Stato! I cinquanta più indiziati furono imbarcati, all’indomani, sulla stessa nave da guerra. Squadre di ammanettati, tenuti uniti tra di loro con lunghe catene, sfilavano per la città. Agli altri deportati era vietato assistere alla partenza e avvicinarsi alle banchine. Ma l’ambiente era elettrizzato. Tutti i confinati si ribellarono al divieto e si riversarono sulla banchina. I cordoni armati furono impotenti a respingerli. Era la prima rivolta collettiva contro un ordine superiore. In seguito a questi arresti, furono fatte chiudere le trattorie cooperative che i deportati si erano organizzate per risparmiare sul vitto, i piccolo clubs sportivi. La vita divenne più pesante”.