Intervista a Primo Levi, ex deportato
di Anna Bravo-Federico Cereja, Einaudi, 2011, pp.XXVI-96, euro 10,00
“Nel campo avevo un quaderno, non più di venti righe. Avevo troppa paura, il fatto stesso di scrivere era sospetto. Non erano appunti, era la voglia di tenere appunti, tanto sapevo che non avrei potuto conservare nulla. Se non nella memoria”.
“Testimone del vissuto”: così si presenta Primo Levi, in questa intervista del 1983 (tradotta in molti paesi tra cui Francia, Grecia e Argentina). In un dialogo con gli Autori, Levi racconta il retromondo dei gesti quotidiani ad Auschwitz, i volti e le storie dei personaggi dei suoi libri.
Al centro della conversazione è ciò che egli definisce “il galateo del Lager”, i rapporti tra i prigionieri, la “ottusità” che li aiuta a vivere in quel mondo spaccato in due (“noi” e “loro”) e dove la morale non vale più.
Naturalmente, la figura eroica di Primo Levi, sopravvissuta all’inferno del Lager, si staglia indelebile, nella memoria universale dell’intera umanità, con i libri “Se questo è un uomo” del 1958 e “La tregua” del 1965.
Anna Bravo e Federico Cereja hanno realizzato questa intervista nell’ambito della ricerca promossa dall’ANED (Associazione nazionale ex deportati politici) che consisteva nel raccogliere le testimonianze di 220 superstiti dei campi di sterminio nazisti.
L’intervista a Levi mette in rilievo soprattutto il “dovere” della memoria: insistendo sulle differenze che intercorrono tra l’opera del testimone e quella dello scrittore (la memoria come “scrittura mentale” che fa rivivere, intensificandoli, volti e gesti nel tempo).