Pietro Benedetti
Giovane socialista, nel 1921 fu tra i fondatori del PCdI di Atessa e ne divenne in breve segretario della sezione locale. Nel dicembre del '25, mentre si recava in Francia, come delegato dell'Abruzzo al III Congresso del partito a Lione, fu fermato al confine. Trovato in possesso di un passaporto falso, restò in carcere per tre mesi. Nominato segretario della federazione comunista di Chieti, tenne i contatti con gli esiliati in Francia. Nuovamente arrestato nel '32, fu processato dal Tribunale speciale e scarcerato poco dopo, grazie a un'amnistia. L'anno seguente Benedetti si trasferì a Roma, avviò un laboratorio di ebanisteria e riprese l'attività antifascista clandestina.
Dopo l'armistizio eccolo commissario politico della 1^ zona, che comprendeva i quartieri Prati e Monte Mario. La sua bottega di ebanista si trasformò in un luogo di riunione di giovani antifascisti e divenne centro di smistamento della stampa clandestina. Il 28 dicembre del '43 fu arrestato quando il capo della squadra politica, Domenico Rodondano, scoprì alcune armi nel laboratorio di ebanisteria di via Properzio n. 39. Portato in Questura con i suoi operai e col fratello Antonio, Pietro Benedetti fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e poi in via Tasso.
Processato, il 29 febbraio del '44, dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu condannato a 15 anni di reclusione. Il 1° aprile, in un nuovo processo, la sentenza fu modificata nella pena capitale. Pietro Benedetti cadde così, sugli spalti di Forte Bravetta, fucilato da un plotone della Pai (Polizia Africa Italiana). Prima di morire aveva scritto ai figli una lettera nella quale, tra l'altro, affermava: "... Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono vostri fratelli...".
Una via di Roma e una piazza di Atessa sono state intitolate a questo martire della libertà.