Dopo la crisi dovuta al delitto Matteotti, risolta con la svolta autoritaria del gennaio 1925, il fascismo accelera il processo di trasformazione dello Stato in senso dittatoriale. Uno dei passaggi fondamentali di tale trasformazione è la costituzionalizzazione, il 9 dicembre 1928, del Gran Consiglio del Fascismo che, da organo supremo del partito fascista, diviene anche organo costituzionale del Regno.
La legge suprema del Regno d'Italia, lo Statuto Albertino, data la sua natura flessibile, viene adattata alle esigenze del regime.
I poteri della polizia sono estesi; le amministrazioni dello Stato vengono epurate dai funzionari sospettati di non essere in linea col governo; risulta ridotta la libertà di stampa tramite censure, sequestri e/o sospensioni di pubblicazioni e sostituzioni di direttori; viene rafforzato il potere dei prefetti con conseguente maggior ingerenza del partito nella gestione quotidiana dello Stato; sono abolite le elezioni amministrative e il sindaco, ora chiamato podestà, diviene di nomina governativa.
Con l'attentato a Mussolini del 1926, per mano del giovane Anteo Zamboni, nuove ondate repressive portano allo scioglimento di tutti i partiti, le associazioni e le organizzazioni democratiche. Viene istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, atto a giudicare i cosiddetti nemici interni.
La sempre più stretta vicinanza alla Germania hitleriana accentua il carattere totalitario e repressivo dello stato fascista. Nel 1938, l'introduzione della legislazione razziale – rivolta prevalentemente contro gli ebrei, ma anche contro qualsiasi razza non “puramente ariana”, come in Germania – vincola sempre più, da un punto di vista culturale, oltre che economico, i due paesi. Evidente, inoltre, in Italia come in Germania, è lo sforzo nel campo degli armamenti, e il sostegno alla politica di tipo fascista in Europa, come dimostra l'appoggio italo-tedesco al generale Franco nella guerra civile di Spagna.