Gillo Pontecorvo
Cresciuto in una folta famiglia borghese dalla marcata attitudine per le cose scientifiche (i fratelli in maggioranza laureati in tali discipline, con l'eccellenza di Bruno notoriamente fisico di fama mondiale), Gillo Pontecorvo studia chimica, anche se con distratto interesse. Poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e pressoché in concomitanza con la proclamazione delle leggi razziali volute da Mussolini, il giovanissimo Gillo si sposta in Francia. E qui lavora come giornalista dell'agenzia Havas (poi France Presse) finché con l'invasione tedesca di Parigi si vede costretto a cercare nella "Francia Libera" (a Nizza, in particolare) nuove quanto avventurose occasioni d'impiego (per qualche tempo, da tennista sperimentato qual è, fungerà da maestro di tale sport per clienti danarosi). In quegli stessi mesi, tra l'altro, prende contatto con i fuorusciti antifascisti italiani. È così che di lì a poco farà la conoscenza con i dirigenti del Pci, con Giorgio Amendola e Celeste Negarville che, letteralmente, lo "ammaestreranno" sul piano specificamente ideologico-politico, tanto da farne in breve tempo un "quadro" del tutto affidabile per ricorrenti incursioni clandestine in Italia. Con il tracollo del regime fascista il 25 luglio del 1943 e la conseguente fase dell'avvio della Resistenza, dopo l'otto settembre dello stesso anno, Gillo Pontecorvo viene integrato, a pieno tempo, nell'attività cospirativa del Nord Italia, tanto da subentrare, dopo l'assassinio di Eugenio Curiel, al suo posto quale responsabile del Fronte della Gioventù. Già comandante della S.A.P. (Giovani) della Brigata d'assalto partigiana "Eugenio Curiel", Pontecorvo protrarrà anche dopo la fine della guerra la sua appassionata milizia politica, legandosi, in ispecie, di cordialissima amicizia col giovane Enrico Berlinguer. Esaurita, peraltro, questa fase della sua avventura esistenziale, Gillo Pontecorvo riprese, tra la Francia e l'Italia, il suo vecchio lavoro di giornalista per l'agenzia Havas. Frattanto, attratto, anche sull'onda dell'illuminazione per il grande cinema di Rossellini, cominciò a cimentarsi in documentari di chiaro impianto civile. È in tal modo che, nel 1957, esordisce nel lungometraggio a soggetto La lunga strada azzurra per proseguire ormai, nel 1960, la carriera di cineasta con il film di vibrante passione umanitaria: Kapò. Ma è, nel 1966, con il capolavoro La battaglia d'Algeri - Leone d'oro alla Mostra veneziana di quello stesso anno - che Pontecorvo sarà consacrato con pieno merito maestro della settima arte. Un altro traguardo vistosissimo del talento e della precisa opzione politica della sua arte è riscontrabile, del resto, nella successiva fatica creativa, Queimada (1969), che con un Marlon Brando riottoso, eppure splendidamente "in parte", ricrea con rara efficacia l'emblematica esperienza d'un avventuriero dell''800 al servizio dell'imperialismo britannico. Cineasta dai tempi dilatati, Pontecorvo girerà soltanto dopo un decennio il suo nuovo film, Ogro, rievocazione drammaticissima dell'attentato mortale, in Spagna, al capo del governo franchista Carrero Blanco, un'opera rigorosa interpretata con l'abituale, tesa maestria dal grande Gian Maria Volonté. Dopo di che Pontecorvo, pur più volte sollecitato a realizzare altre pellicole, si ritirò dalla milizia registica per dedicarsi, ancora e sempre al cinema, in altri significativi ruoli: prima come direttore, negli anni Novanta, della Mostra di Venezia e, in seguito, quale responsabile di Cinecittà. (s. b.)
Qui di seguito la testimonianza del giornalista Sauro Borelli.
Io lo conoscevo bene. Per contiguità civile, politica. Per la comune milizia culturale. Per gli assidui commerci con le cose del cinema: lui, grande autore, io, reverente esegeta dei suoi film (e di tant’altri cineasti di generoso estro creativo tra gli anni ’70, ’80, ’90). Gillo Pontecorvo, ché di lui stiamo ragionando, è scomparso a Roma proprio alla vigilia della Festa del Cinema, quel cinema cui lui medesimo, nell’arco di una gloriosa avventura creativa – da La grande strada azzurra a Kapò, dalla Battaglia di Algeri a Queimada e a Ogro – ha dato intiera la sua passione civile e, insieme,una magistrale sapienza sitilistica-espressiva.
Io lo conoscevo bene, poiché in molteplici occasioni (la Mostra di Venezia dal 1992 al 1996, la direzione di Cinecittà e diverse altre manifestazioni) gli sono stato vicino e, appunto, da lui ho appreso a confrontarmi col lavoro come nella “battaglia delle idee” con dedizione e rigore totali. Sul set cinematografico e nelle esperienze contingenti della quotidianità, Gillo s’è costantemente tenuto ad una moralità adamantina. Se, ad esempio, il divo Marlon Brando ebbe a sperimentare, riottoso, l’intransigenza professionale di Pontecorvo sul set del pur epico film Queimada, nei difficili anni Quaranta, durante la Resistenza, il comandante Barnaba (questo il nome di battaglia di Gillo) a capo della Brigata d’assalto partigiana “Eugenio Curiel” dimostrò non minore carattere e prodiga disponibilità nel combattere il nemico nazifascista.
Io lo conoscevo bene, perché, oltre il fatto di amare il suo cinema (in ispecie Queimada e La battaglia di Algeri), provavo naturale, devota simpatia per l’uomo, l’artista che ha fatto, al di là degli eccezionali film celebri in tutto il mondo, della sua stessa esistenza un irripetibile capolavoro.
Sauro Borelli