Gaspare Pajetta
Cresciuto in una famiglia di saldi ideali democratici (i suoi fratelli maggiori erano Gian Carlo e Giuliano), Gaspare a quindici anni, quando ancora frequentava un liceo privato, s'industriò, con altri due compagni di classe, a far uscire un foglio dattiloscritto, che prendeva di mira i personaggi del regime fascista.
Nel 1943 il ragazzo era già attivo nel PCI e fu per lui naturale, poco dopo l'armistizio, raggiungere le bande partigiane che si andavano costituendo in Piemonte. Aggregatosi, con il nome di Sergio, alla formazione partigiana guidata dall'architetto Filippo Beltrami, il giovane combatté i nazifascisti prima in Valle Strona e poi in Valdossola.
Fu qui, a Megolo, sopra Ornavasso, che si concluse tragicamente la breve vita del più giovane dei Pajetta. I partigiani di Beltrami, invece di sottrarsi, come avrebbero potuto, alle preponderanti forze armate tedesche che li avevano attaccati, decisero di resistere sulle proprie posizioni. Il combattimento durò quasi due ore; poi i partigiani si resero conto che non l'avrebbero spuntata.
Fu allora che Beltrami, Gaspare Pajetta e pochi altri, ciascuno al comando di piccole squadre di combattenti, decisero di impegnarsi per coprire la ritirata del grosso della formazione. Rimasti in dodici, accerchiati dai tedeschi, non avendo altra scelta che consumare sino all'ultima pallottola o arrendersi, si strinsero attorno al loro comandante e caddero ad uno ad uno. "Sergio", colpito ad un fianco, fu visto appoggiarsi ad un albero e continuare a sparare, sino a che fu raggiunto da una mortale raffica di mitraglia.
Addosso, con le pagine perforate e intrise di sangue, gli fu trovata una copia del saggio di Lenin Stato e Rivoluzione.