Felice Chilanti
Aveva collaborato, su posizioni per nulla ortodosse, con la stampa giovanile fascista. Vincitore nel 1935 dei Littoriali, era poi passato all’antifascismo militante; per questo il Tribunale speciale lo aveva condannato a 5 anni di confino. Dopo la riunione del Gran Consiglio e la caduta di Mussolini, si era ideologicamente orientato verso il comunismo. Diventato nel 1943 inviato speciale del giornale Il Popolo di Roma, con l’occupazione tedesca della Capitale, Felice Chilanti (che per la diffidenza nutrita nei suoi confronti da alcuni intellettuali comunisti romani non riesce ad entrare nell’organizzazione clandestina del PCI), aderisce al Movimento “Bandiera Rossa” e ne diventa uno dei dirigenti. Col nome di battaglia di “Marino” combatte contro i nazifascisti, con al fianco la moglie Viviana (nome di copertura “Marisa”), con i gruppi armati di Primavalle, Torpignattara e Quarticciolo. Prende parte a numerose azioni, anche con Giuseppe Albano (“Il Gobbo”), che sarebbe morto nell’immediato dopoguerra in uno scontro con i carabinieri. Terminato il conflitto Chilanti, riprende il suo lavoro di giornalista a L’Unità di Roma. Per l’organo del PCI, di cui diviene vicedirettore, conduce coraggiose inchieste giornalistiche che, nel 1960, gli valgono “Il Premiolino”. Autore di un ventina di libri (molti a soggetto biografico ed autobiografico) e di un documentario cinematografco sul quartiere romano di San Lorenzo, ha pubblicato nel 1952 per la “Lavoro Editrice” La vita di Giuseppe Di Vittorio. Negli ultimi suoi anni, Felice Chilanti aveva aderito ad “Avanguardia Operaia”.