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Albania

Nella primavera del 1939, in una fase di sostanziali mutamenti politico-territoriali all'interno del continente europeo, l'Italia invade il regno d'Albania, sul quale esercita, da quasi quindici anni, un'influenza indiretta basata su accordi di natura finanziaria, commerciale e politica. Il “Corpo di spedizione Oltremare Tirana” sbarca sulle coste albanesi nell'aprile di quell'anno e in cinque giorni il paese è in mano agli italiani. Abrogata la costituzione albanese, il nuovo governo offre la corona a Vittorio Emanuele III, che diviene anche re d'Albania, mentre il monarca Zog I ha lasciato il paese il giorno stesso dell'invasione italiana. Affidata a un luogotenente del re, l'Albania è direttamente controllata da Roma, attraverso un sottosegretariato di stato per gli Affari albanesi, l'Unione italo-albanese – che fonde le forze armate dei due paesi, e le pone ovviamente sotto controllo italiano – il partito fascista albanese e la milizia. Lo stato balcanico perde qualsiasi forma di autonomia nella politica estera e interna: è l'Italia, infatti, che determina “le relazioni del regno d'Albania con gli altri stati, […]le opere pubbliche in loco, […]la politica di sviluppo economico” (S. Trani, Albania, annessione dell', in Dizionario del fascismo, a cura di V. de Grazia e S. Luzzatto, Torino, Einaudi, 2003, vol. I, p. 28). L'unione politica e quella economica portano a una completa fascistizzazione dello stato e della vita quotidiana dei sudditi albanesi, che presto sviluppano un diffuso sentimento anti-italiano. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, i civili e i militari italiani si trovano in una situazione di isolamento, che porta molti a cadere in mani tedesche. Una minoranza di militari italiani riesce invece a collaborare con le forze partigiane locali e a dar vita a formazioni combattenti riconosciute. Il Trattato di pace del 1947 sancisce l'indipendenza dell'Albania e la rinuncia italiana a qualsiasi tipo di rivendicazione sul territorio.