La politica di Hitler nei confronti degli Stati Uniti è, fin dall'inizio, segnata da una contraddizione: da una parte il dittatore tedesco nutre un forte disprezzo per la potenza americana, dall'altra cerca, almeno durante i primi due anni di guerra, di non coinvolgere gli Stati Uniti nel conflitto, almeno fino alla completa vittoria sull'Unione Sovietica, ipotizzata dal führer per l'estate del 1941.
Nel disegno strategico tedesco, il Giappone – con il quale la Germania e l'Italia hanno firmato, il 27 settembre 1940, il Patto Tripartito, in base al quale intendono dividersi il mondo – dovrebbe limitarsi a "distrarre" gli USA: se i giapponesi, ad esempio prendessero Singapore e minacciassero l'India, ciò rappresenterebbe un duro colpo per la Gran Bretagna e distoglierebbe le attenzioni americane dall'Atlantico, per farle concentrare nel Pacifico.
Sia Hitler sia il ministro degli esteri von Ribbentrop non immaginano che le intenzioni giapponesi siano diverse, soprattutto dopo il colpo di stato che, nell'ottobre del 1941, porta alla formazione di un gabinetto militare guidato dal generale Hideki Tōjō.
Le successive mosse belliche del Giappone, indirizzate contro i possedimenti europei nel Pacifico meridionale,portano all'invasione nipponica dell'Indocina francese. Ciò dimostra abbastanza chiaramente le intenzioni imperiali, inevitabilmente rivolte allo scontro con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, sebbene Hitler continui a credere che si tratti di azioni limitate. Ogni tentativo di accordo diplomatico tra USA e Giappone fallisce e gli stessi tedeschi, ansiosi di confermare la buona tenuta del Patto Tripartito, comunicano, alla fine del novembre 1941 che se il Giappone entrerà in guerra contro gli Stati Uniti, la Germania sarà al suo fianco. La squadra navale giapponese destinata a supportare logisticamente l'attacco a Pearl Harbor salpa il 26 novembre, due giorni prima della dichiarazione tedesca.
Venti sottomarini e cinque minisommergibili, a capo di una flotta composta da due corazzate, tre incrociatori, undici cacciatorpediniere, sei portaerei, otto navi cisterna e 423 aeroplani, lasciano la baia di Tankan, in Giappone, e si dirigono verso l'avamposto più occidentale degli Stati Uniti, l'arcipelago hawaiano.
Alle 6.45 del 7 dicembre 1941 un primo squadrone di 183 aerei decolla dal ponte dell'Akagi, la nave ammiraglia giapponese. Poco dopo le 8.40 un secondo squadrone di 168 aerei compone la seconda ondata. Quella mattina si alzeranno in volo più di 350 aerei, che distruggeranno la Pacific Fleet statunitense, ancorata a Pearl Harbour.
L'attacco giapponese coglie di sorpresa sia Berlino sia Washington. L'impegno verbale di Hitler e von Ribbentrop non è stato ancora sottoscritto e i giapponesi non hanno avvertito gli alleati del piano d'attacco contro Pearl Harbor.
Ricevuta la notizia, il ministro degli Esteri del Reich si dimostra scettico, ritenendo si tratti di pura propaganda nemica. L'ambasciatore nipponico gli dà invece conferma la mattina dell'8 dicembre.
Hitler convoca il Reichstag per l'11 dicembre, sempre più propenso a rispettare l'accordo con i giapponesi, sopravvalutandone la forza militare e sottovalutando, nel contempo, quella americana. L'11 dicembre 1941 la Germania, subito seguita dall'Italia, dichiara guerra agli Stati Uniti, e il führer accusa direttamente il presidente americano Roosevelt, a suo dire fomentato da "sostenitori ebrei", di aver provocato la guerra per giustificare il fallimento del New Deal.