Le brigate d'assalto "Garibaldi" sono formazioni promosse dal e legate al PCI; ciononostante, vi militano anche esponenti di altri partiti del CLN, soprattutto socialisti, azionisti e cattolici, nonché autonomi e apolitici. Attive già nei giorni successivi all'armistizio, dopo il fallimento della difesa della capitale, le Garibaldi dividono i propri centri di comando tra Roma (Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola e altri) e Milano (Luigi Longo, Pietro Secchia e altri). Nonostante le difficoltà politiche, logistiche e militari dei primi tempi, le Garibaldi saranno le formazioni partigiane più numerose, organizzate ed efficaci della Resistenza italiana: «in termini numerici le Garibaldi costituiscono la maggioranza delle forze resistenziali rappresentandone quasi la metà nei vari periodi della lotta partigiana e, particolarmente, nel durissimo inverno 1944-45» (R. Sandri, Garibaldi, brigate d'assalto, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, p. 432).
Le brigate si strutturano su una base strettamente militare, dividendosi in reparti e dotandosi di una rete di collegamenti composta da staffette e cellule comuniste diffuse sul territorio d'operazione. I vari settori sono supervisionati da ispettori nominati appositamente, nonché guidati militarmente da delegati del comando centrale.
I garibaldini, oltre che in compiti strettamente operativi, sono impegnati nel reclutamento, che è aperto a tutti, senza alcun tipo di restrizione politica, e questo vale anche per i ruoli di comando all'interno delle formazioni. In queste, fin dalla costituzione, oltre al comandante militare, è presente un “commissario politico” – attivo anche nelle formazioni di Giustizia e libertà e nelle Matteotti, è una figura antica ripresa in ultimo dalle Brigate Internazionali della guerra di Spagna – che è incaricato «dell'orientamento e del morale dei volontari; [della] promozione dei rapporti di reciproca comprensione e amicizia tra questi e la popolazione, [della] tutela delle regole disciplinari vigenti nella brigata» (R. Sandri, Commissario politico, in Ivi, p. 417). Nominato dal comando generale, il commissario cura soprattutto la formazione politica dei combattenti, perlopiù giovani e giovanissimi cresciuti nella scuola di regime e completamente a digiuno di qualsiasi ideologia che non sia quella fascista. Anche in questo senso, la Resistenza è una fondamentale scuola di cittadinanza per generazioni destinate a costruire e governare un paese democratico. Nel luglio del 1944, il comando del CVL precisa: «[…] il commissario politico presso le formazioni partigiane, a qualunque partito appartenga, non è mai membro del comando in funzione di rappresentante di un partito politico, bensì nella funzione di rappresentante del Comitato di Liberazione Nazionale» (Ivi, p. 418). Abbiamo così commissari politici comunisti, socialisti, azionisti, democristiani attivi indipendentemente nelle varie brigate.
L'attività delle Garibaldi è sia militare sia politica: «se il cinquanta per cento dei militanti è destinato all'azione militare l'altra metà – grosso modo – sarà rivolta al lavoro cospirativo per l'organizzazione e la lotta operaia nelle fabbriche, per l'agitazione contadina […], per la penetrazione nelle scuole superiori e nelle Università, per assicurare l'afflusso nelle brigate» (R. Sandri, Garibaldi, brigate d'assalto, cit., p. 431) . Nel giugno del 1944 il PCI istituisce dei triunvirati insurrezionali addetti al coordinamento, a livello regionale e provinciale, dell'azione politica con quella militare. I triunvirati lavorano in diretto collegamento con i CLN locali (ad esempio, per ciò che riguarda l'insurrezione e la liberazione di Firenze).
Alle Brigate Garibaldi sono legati i Gruppi di azione patriottica (GAP), le Squadre di azione patriottica (SAP), attive nelle zone extraurbane, e i Gruppi di Difesa della Donna (GDD).