Il territorio della Jugoslavia viene conquistato nell'aprile 1941 dagli eserciti italiano e tedesco. Le forze del Reich occupano la Serbia e parte della Croazia, mentre gli italiani controllano la Slovenia, la Dalmazia e il resto della Croazia (con 8 divisioni: Cacciatori delle Alpi, Isonzo, Lombardia, Macerata, Murge, Bergamo, Zara, Eugenio di Savoia), l'Erzegovina (con le divisioni Marche e Messina) e il Montenegro (con le divisioni Emilia, Ferrara, Venezia e Taurinense). In totale, all'8 settembre 1943 gli italiani presenti sono circa 194.000 (G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich, 1943-1945, Roma, Ufficio storico Sme, 1992, p. 180), schierati da Fiume ai confini albanesi, frammentati in migliaia di piccoli presidi con modeste possibilità di movimento.
Fino all'armistizio, italiani e tedeschi, occupanti brutali, combattono una guerra feroce contro la Resistenza jugoslava, la più forte d'Europa insieme a quella sovietica. La lotta di Liberazione jugoslava è guidata dall'esercito popolare del comunista croato Josip Broz, detto Tito, che combatte non solo contro gli invasori dell'Asse (ai quali si uniscono truppe ungheresi e bulgare, che controllano rispettivamente la Macedonia e la Vojvodina) ma anche contro le forze dei vari paesi, cioè gli ustascia croati di Ante Pavelic, i cetnici serbi, i domobranci sloveni.
L'8 settembre scatta, per i tedeschi, l'"Operazione Achse", intesa a bloccare ogni iniziativa italiana arrestando i maggiori comandanti e disarticolando tutta la rete dei collegamenti sia con l'Italia sia all'interno delle unità. Il potere decisionale passa allora nelle mani dei singoli comandanti di unità, che reagiscono in modo diverso alle richieste di resa dei tedeschi. Le divisioni Zara, Isonzo e Ferrara si arrendono senza neanche provare a resistere. Molti militari italiani scelsergono però di unirsi ai partigiani jugoslavi. Alcuni reparti partecipano invece alla difesa o alla riconquista di città come Spalato, Dubrovnik e Belgrado.