I Gruppi d'Azione Patriottica sono dei piccoli nuclei partigiani, formati da quattro o cinque persone, sia uomini sia donne, bene addestrate, costituiti dal comando generale delle Brigate Garibaldi e impiegati nelle azioni di guerriglia urbana. I gappisti conducono spesso una doppia vita, svolgendo un impiego ordinario per camuffare l'attività clandestina. I GAP agiscono in ognuna delle città principali del centro-nord Italia dove, dall'autunno del 1943, organizzano e realizzano «attentati a reparti e sedi nemiche, a installazioni, impianti e reti di comunicazione […] uccisioni – eseguite o tentate – di ufficiali tedeschi, della Rsi, di dirigenti periferici o nazionali del Pfr [Partito fascista repubblicano] e dell'apparato amministrativo pubblico, di spie e delatori riconosciuti» (R. Sandri, Gruppi d'Azione Patriottica, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, p. 438).
Il compito dei GAP è tra i più pericolosi ed eticamente complessi della Resistenza, e gli appartenenti ai gruppi sono i più colpiti dalla repressione nazifascista, che spesso non esita a indirizzarsi contro persone estranee all'azione partigiana. Non tutti i partiti del CLN concordano in pieno con la strategia di lotta gappista, pienamente accolta però sia dal PCI sia dal PdA. La questione etica connessa alla lotta di tipo terroristico si ripropone spesso, soprattutto in occasione di gravi rappresaglie operate dai nazifascisti nei confronti della popolazione. Tale questione, tuttavia, viene superata – nella percezione dei combattenti di allora e nell'interpretazione di oggi – sulla scorta di considerazioni ben riassunte da Renato Sandri: «Il potere nazifascista è terroristico per norma comportamentale. Si manifesta anche in Italia nella deportazione e nello sterminio razziali, nella rappresaglia indiscriminata, nelle stragi. I gappisti attaccano sempre mezzi e uomini del nemico, non fanno mai esplodere vetture ferroviarie o autobus carichi di civili, non si fanno mai scudo di cittadini innocenti; spietati, ma se qualche innocente viene coinvolto, si tratta di conseguenza né prevista, né voluta della loro azione» (Ivi, p. 440). L'unico episodio delittuoso volutamente compiuto dai GAP è l'eccidio di Porzûs (7-18 febbraio 1945); l'azione di via Rasella del 23 marzo 1944, invece, è considerata, storiograficamente e giuridicamente (sentenza della Corte di Cassazione del 23.2.1999), una legittima azione di guerra.
Nella primavera del 1944 i gappisti dell'anno precedente sono stati quasi tutti uccisi, e tuttavia i gruppi continuano a operare, compiendo azioni che restano tra le più importanti dell'intera Resistenza, come la liberazione di detenuti politici e alcune fondamentali azioni di guerra. In alcune zone, come l'Emilia Romagna, i GAP danno il via alla Resistenza – così anche a Milano – e ne sono protagonisti nei periodi più duri (come l'inverno 1944-45) assumendo la dimensione di vere e proprie brigate partigiane.
Con la costituzione del CVL, i GAP divengono reparti militari «facenti parte a tutti gli effetti dell'allora regio esercito italiano, impegnati in legittime azioni di guerra» (ibidem).