Uno dei primi atti ufficiali della neonata Repubblica Sociale è il processo di Verona, ampiamente caldeggiato dai tedeschi. Il processo interessa i cosiddetti "traditori venticinqueluglisti", come i fascisti chiamano i membri del Gran Consiglio che hanno destituito Mussolini nel luglio 1943.
Le udienze, iniziate l'8 gennaio 1944, durano appena tre giorni e il collegio giudicante è composto da uomini di provata fede fascista. Imputato principale è Galeazzo Ciano, genero del Duce, e considerato dagli uomini di Salò il più infame del gruppo. Ciano, convinto che la parentela con il capo del Fascismo lo avrebbe in ogni caso salvato, ha perfino aderito alla Rsi, chiedendo di potervi militare in qualità di pilota.
Il dibattimento si svolge in un clima teso e spesso interrotto dalle grida di vendetta di un pubblico già convinto della sentenza e in una lugubre sala addobbata con panni neri. Scontata la richiesta finale di pena di morte per tutti gli imputati e le frettolose e intimidite arringhe dei difensori. Le pene capitali sono comminate a cinque imputati (Ciano, De Bono, Marinelli, Gottardi e Pareschi), e l'esecuzione ha luogo la mattina dell'11 gennaio nel poligono di Forte San Procolo, a Verona, con un plotone di esecuzione formato da trenta militi fascisti.
Tre ore dopo Mussolini apre il Consiglio dei ministri a Gargnano pronunciando la frase "Giustizia è fatta".