Nato a Firenze il 27 settembre 1903, fucilato a Dongo (Como) il 28 aprile 1945.
Appartiene, con Buffarini Guidi, al "granducato di Toscana", come viene chiamato dagli stessi fascisti il sodalizio che rappresenta il ceppo più solido del vecchio squadrismo, del gerarchismo del ventennio e, poi, dell'ultima reviviscenza di Salò.
Figlio del glottologo Paolo Emilio, docente di sanscrito e filologia all'Università di Firenze, anche il futuro ministro della cultura popolare nutre interessi culturali e una forte inclinazione per il giornalismo e per la narrativa (sarà infatti anche autore di novelle e romanzi). Tuttavia, al centro della sua vita c'è l'attività politica, che lo porta, dopo l'iscrizione al fascio di combattimento di Firenze, nel 1920, a divenire elemento centrale delle più famigerate, violente e sanguinarie squadre d'azione del capoluogo toscano. Dopo la partecipazione, quasi casuale, alla marcia su Roma – si trova nella capitale per un esame universitario – scala rapidamente i gradi gerarchici e diventa segretario provinciale della federazione fascista di Firenze (1929). È uno dei rappresentanti della corrente più intransigente e violenta del fascismo al potere e, nel contempo, un organizzatore della sua “cultura”. A questo secondo aspetto si dedica attraverso la fondazione della rivista “Il Bargello”, l'attenzione rivolta ai Gruppi Universitari Fascisti (GUF) e ai Littoriali della cultura e dell'arte, l'impegno per il teatro e per il Maggio musicale fiorentino.
Prende parte, come ufficiale dell'aeronautica, ai bombardamenti contro la popolazione etiopica, nella guerra del 1935-36, della quale è anche corrispondente per il “Corriere della sera”. Dopo la prova di spirito guerriero e di impegno militare, prova richiesta in pratica a ogni gerarca, recupera in un certo senso i vecchi interessi letterari, divenendo uno dei principali responsabili della soppressione della libertà di pensiero in Italia. Contribuisce, infatti, ai lavori della commissione di bonifica che mette al bando le opere librarie non allineate all'ideologia fascista. Le vittime più illustri di questa drastica operazione di censura sono le opere degli oppositori politici.
Nel 1939, Pavolini, che gode della protezione del ministro degli esteri Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, è nominato ministro della cultura popolare. In tale veste controlla gli organi di informazione, e lo fa anche attraverso le cosiddette "veline", ufficialmente “note di servizio”, cioè le istruzioni, redatte appunto su carta velina, fornite ai giornali e relative agli argomenti da trattare e al modo in cui farlo. Tali direttive non sono solo censorie e mistificatorie, ma talvolta così stravaganti da divenire oggetto di scherno e derisione all'interno dello stesso apparato di regime. Pavolini regge il cosiddetto Minculpop fino al febbraio 1943, quando assume la direzione del quotidiano romano “Il Messaggero”. Si tratta di un'evidente retrocessione, dovuta probabilmente alla vicinanza di Pavolini a Ciano.
Alla defenestrazione di Mussolini, il 25 luglio 1943, Pavolini si rifugia in Germania, per rientrare in Italia dopo la liberazione del duce dalla prigionia sul Gran Sasso. Nella RSI, diviene segretario generale del partito fascista repubblicano, assommando altri incarichi e ruoli. È uno dei più pertinaci accusatori dei "traditori del 25 luglio", cioè di Ciano e di coloro che hanno votato contro Mussolini, fucilati dopo il processo-farsa imbastito a Verona.
L'agonia del fascismo vede Pavolini muoversi con abilità tra le faide interne, schierato con coloro che tentano di impedire la coscrizione obbligatoria, come invece vuole il generale Rodolfo Graziani. Pavolini organizza le brigate nere che, nella loro lotta esclusivamente antipartigiana (cioè non rivolta contro nemici esterni), si rendono responsabili di efferate violenze e crimini atroci.
Nei giorni finali della RSI, insieme a un Mussolini sempre più abulico e consapevole della sconfitta, Pavolini cerca di organizzare l'ultima difesa in un ridotto alpino della Valtellina e lì resistere all'offensiva partigiana grazie agli ultimi fedelissimi. Mancano però le risorse materiali.
In fuga, Pavolini viene catturato e fucilato a Dongo insieme ad altre personalità del fascismo repubblicano, il 28 aprile 1945.