Nato a Filettino (Frosinone) l'11 agosto 1882, morto a Roma l'11 gennaio 1955.
Militare di carriera, raggiunge il grado di maresciallo d'Italia, ma si distingue più per i crimini di guerra dei quali si rende responsabile che per le sue doti di stratega durante le campagne di Libia e di Etiopia e del secondo conflitto mondiale. Figlio di un medico condotto, è destinato al seminario, ma preferisce la carriera militare, pur senza poter frequentare l'Accademia di Modena, ma effettuando il normale servizio di leva come allievo ufficiale nel 94° reggimento fanteria di Roma. Nominato sottotenente nel 1904 e destinato a Viterbo, due anni dopo passa al 1° Reggimento Granatieri, di nuovo a Roma.
Il suo primo contatto con il mondo africano avviene nel 1908, quando è destinato a un presidio in Eritrea, dove ha modo di apprendere lingue locali che si riveleranno molto utili nelle fasi successive della sua carriera. Partecipa con il grado di capitano alla guerra italo-turca e si mette in luce nel conflitto mondiale 1915-1918, durante il quale è ferito e ottiene alcune decorazioni. Finita la guerra, è promosso colonnello.
Dopo uno sfortunato intermezzo di imprese commerciali con prodotti orientali, che dura in tutto un anno, ritorna al mestiere delle armi e, inviato in Libia, inizia quella attività di repressione brutale e sanguinosa ai danni delle popolazioni locali che lo contraddistinguerà.
Quando Graziani, nel 1921, arriva in Libia, la colonia è quasi totalmente sfuggita al controllo italiano. Soprattutto in Cirenaica è presente un forte movimento, guidato da Omar al Mukhtar (1861-1931), che reclama l'indipendenza. La riconquista della colonia e la lotta contro la ribellione delle popolazioni locali richiedono uno sforzo militare straordinario e il fascismo al potere non indugia ad autorizzare Graziani all'uso dei sistemi più brutali, come i trasferimenti coatti della popolazione, che viene rinchiusa in campi sorvegliati e lasciata senza risorse. Il bestiame viene abbattuto, donne, uomini, vecchi e bambini sono ridotti alla fame. Il numero delle vittime è altissimo; le offensive di Graziani si spingono anche verso l'interno, in pieno deserto, pur di fare terra bruciata intorno all'esercito di Omar al Mukhtar. Questi, soprannominato “leone del deserto”, viene catturato l'11 settembre 1931 durante un trasferimento dei suoi reparti, e impiccato davanti a una folla di ventimila deportati, dopo un processo-farsa che vide punito addirittura il difensore d'ufficio del guerrigliero libico, il capitano dell'esercito italiano Roberto Lontano, colpevole di essersi troppo speso nella difesa di al Mukhtar.
Quando, nel 1935, l'Italia fascista decide di aggredire l'Etiopia, Graziani viene nominato governatore della Somalia e assume il comando del fronte meridionale, mentre al nord, dopo il breve periodo di De Bono, la direzione delle operazioni è affidata al maresciallo Pietro Badoglio. Tra i due generali vi è una forte rivalità, acuita dal fatto che sia Badoglio a entrare per primo nella capitale Addis Abeba, divenendo viceré d'Etiopia.
Nella campagna etiopica, Graziani – così come, del resto, lo stesso Badoglio – fa ricorso all'uso sistematico e indiscriminato dei gas, accogliendo le pressanti sollecitazioni di Mussolini e in aperta violazione delle normative internazionali che proibiscono l'uso di armi chimiche. Nominato maresciallo d'Italia, Graziani diviene, dopo la rinuncia di Badoglio, viceré d'Etiopia. È uno dei periodi più tragici e sanguinosi nella storia del popolo etiopico.
Dopo un fallito attentato nei suoi confronti (febbraio 1937), Graziani si rende responsabile di una persecuzione spietata nei confronti della popolazione, della distruzione di interi quartieri di Addis Abeba, dell'uccisione indiscriminata di migliaia di etiopi e del massacro della comunità copta di Debra Libanos, a un centinaio di chilometri dalla capitale. Alla fine della guerra, Hailé Selassié, imperatore d'Etiopia, chiede che Graziani sia inserito nella lista dei criminali di guerra e la United Nations War Crime Commission lo colloca al primo posto nella lista dei criminali di guerra italiani.
Rimpatriato alla fine del 1937, nel 1939 viene nominato capo di stato maggiore. Nel 1940, entrata l'Italia in guerra, diviene governatore della Libia ed è destinato al comando delle truppe stanziate in Africa settentrionale. Qui, nelle battaglie contro gli inglesi, non si dimostra all'altezza del mito costruito intorno alla sua figura dalla propaganda del regime, anche se le responsabilità della sconfitta non possono ricadere solo su di lui. Nel febbraio del 1941 Graziani è esonerato dal servizio e lasciato senza incarichi, mentre il suo operato militare è sottoposto a un'inchiesta che si concluderà con l'accusa di negligenza.
Si torna a parlare di Graziani solo con la nascita della Repubblica sociale italiana, quando il maresciallo anti-badogliano viene nominato ministro della Difesa e poi delle forze armate della RSI. È a suo nome che vengono emessi i bandi di reclutamento che comminano la pena di morte a chi, in età di leva, non si presenti alle armi in difesa della repubblica alleata dell'occupante nazista; ed è Graziani che, per primo, invita gli internati militari italiani nei campi tedeschi ad accettare le offerte di collaborazione che provengono da Salò. Sarà Graziani, quindi, uno dei principali responsabili del fallimento del reclutamento, così come di tutti i tentativi di costituire le "nuove" forze armate repubblicane. I bandi del ministro finiscono infatti con il rinfoltire le file della Resistenza, e l'unico uso che si fa dell'esercito di Salò, totalmente sottomesso al volere degli alleati nazisti, è quello antipartigiano e di guerra ai civili.
Alla fine del conflitto Graziani si arrende agli Alleati. Dopo qualche settimana agli arresti a Roma, l'ex maresciallo d'Italia viene inviato in Algeria; poi, dal 6 febbraio 1946, è rinchiuso nel carcere di Procida. Nei due anni che precedono il processo scrive tre libri nei quali rivendica la bontà del suo operato, nelle varie fasi (Libia redenta. Storia di trent'anni di passione italiana in Africa, Napoli, Torella, 1948; Africa settentrionale 1940-41, Roma, Danesi, 1948; Ho difeso la patria, Milano, Garzanti, 1948). Mai processato per i crimini di guerra commessi, in Italia è condannato per collaborazionismo a 19 anni di reclusione, dei quali 17 presto condonati. Il tribunale stabilisce che Graziani, nonostante i bandi, le fucilazioni e i rastrellamenti, non era in condizione di incidere significativamente sulle decisioni del governo della RSI.
Negli anni cinquanta l'ex maresciallo aderisce al Movimento sociale italiano, del quale diviene presidente onorario nel marzo 1953. Si ritira nella sua proprietà di Affile, per lasciarla pochi giorni prima di morire. Muore a Roma l'11 gennaio 1955.
Nell'agosto 2012 il comune di Affile ha inaugurato un sacrario, costruito con fondi pubblici, dedicato al defunto generale. L'episodio, che ha avuto grande risalto anche sulla stampa internazionale, ha dato il via a una serie di discussioni e dibattiti polemici oggi ancora aperti, e a un procedimento penale, nel quale l'ANPI è stata ammessa come parte civile.