Nato a Belmonte Calabro (Cosenza) il 22 luglio 1883, morto a Roma il 3 febbraio 1930
L'irrequieta gioventù socialista di Michele Bianchi si trasforma nella folgorante carriera di un gerarca fascista attraverso il passaggio dall'antimilitarismo a una fervente adesione alla tesi dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1914.
Bianchi si diploma presso il liceo di Cosenza e intraprende gli studi di giurisprudenza, che non concluderà, all'Università di Roma. Nella capitale sceglie il lavoro giornalistico all' “Avanti!”, iscrivendosi al partito socialista. Nel luglio del 1905 abbandona l'Avanti! la testata del partito e assume la direzione di “Gioventù socialista”, impegnandosi da quelle pagine nella campagna antimilitarista che lo avrebbe portato in carcere. Tra il 1905 e il 1914 organizza scioperi, diviene segretario delle Camere del Lavoro di Ferrara, Napoli e Genova e, soprattutto a Ferrara e a Milano, si dedica a un'intensa attività sindacale. Avvicinatosi, nel tempo, al sindacalismo rivoluzionario, contribuisce alla scissione di questa corrente dal partito socialista nel 1907, nel corso di un congresso a Ferrara. Tra questa data e il suo impegno di irriducibile interventista, si collocano trasferimenti in città diverse, altre testate da lui dirette e brevi arresti.
Nel 1914, convertitosi all'interventismo, è alla guida del Fascio d'azione rivoluzionaria; nel 1915 si arruola volontario in fanteria e poi in artiglieria, ottenendo anche la promozione a sottufficiale.
A guerra finita, continua quell'itinerario segnato dalla svolta interventista e si ritrova naturalmente all'adunata di piazza San Sepolcro a Milano, il 23 marzo 1919, nella quale vengono fondati i Fasci Italiani di combattimento. Michele Bianchi è tra i promotori e tra i dirigenti della nuova formazione che nel nome si rifà, a significare una continuità ideale, ai gruppi nati prima della guerra. Il giorno della fondazione del nuovo movimento fascista, “Il Popolo d'Italia” traccia il contorno ideologico di questa formazione: "Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici; conservatori e progressisti; reazionari e rivoluzionari, legalitari e illegalitari, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente". In realtà il fascismo non fu mai tutto questo, ma solo la parte peggiore.
Verso la fine del 1921 il movimento si trasforma ufficialmente in partito ed è Michele Bianchi il presentatore dell'ordine del giorno per il mutamento statutario; egli stesso diviene il primo segretario generale del Partito Nazionale Fascista. In questa veste non esercita di certo una funzione di moderatore della violenza delle squadracce fasciste, anzi. Nell'ottobre del 1922 Bianchi assume la carica di quadrumviro insieme a Italo Balbo, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi, per preparare la marcia su Roma, un atto di violenza politica tesa a sovvertire l'ordine dello stato, abbattere la democrazia e instaurare la dittatura fascista.
A marcia su Roma effettuata, con Mussolini a capo del governo, comincia il carosello degli incarichi pubblici per Bianchi e per gli altri. Tuttavia, il gerarca-segretario, che continua a rappresentare l'ala violenta del partito, perde man mano la propria posizione, a partire proprio dalla carica di segretario generale del PNF. Membro del Gran Consiglio, è sottosegretario del ministero degli interni, e in tale veste prepara la bozza della nuova legge elettorale (legge Acerbo). Nel 1925 diviene sottosegretario presso il ministero dei lavori pubblici, in una posizione sicuramente più marginale, e dello stesso organo diviene ministro nel 1929.
Muore a Roma, di malattia, nel 1930, all'età di 47 anni.