Indirizzata contro l'unico Stato (fatta eccezione per la piccola Liberia) effettivamente sovrano del continente africano, l'aggressione italiana all'Abissinia, oggi Etiopia, è l'ultima guerra di conquista coloniale da parte di una nazione europea. Il regime fascista vi celebra il proprio trionfo politico e l'apoteosi della propria vocazione imperiale: se infatti pare battere piste già seguite dall'imperialismo italiano precedente, con una giustificazione ideologica che ripete i vecchi temi del "posto al sole" per la "nazione proletaria", per la guerra d'Etiopia il fascismo allestisce uno spiegamento di forze mai messo in campo in nessuna guerra coloniale, una dimostrazione di forza – che porta alla piena mobilitazione di tutte le energie nazionali, quale non sarebbe stata raggiunta neppure durante la ben più impegnativa prova del secondo conflitto mondiale – che coincide con una sostanziale noncuranza per le conseguenze dell'aggressione sui rapporti internazionali. L'ideazione dell'impresa risale al 1932, e coincide con una lenta penetrazione commerciale; la decisione definitiva viene presa nel dicembre 1934, alla vigilia dell'accordo con la Francia che, all'inizio dell'anno successivo, si dichiara disinteressata alla questione, dando in sostanza il proprio avallo all'iniziativa italiana nel territorio etiope (accordo Mussolini-Laval, 7 gennaio 1935). Nel gennaio del 1935, Emilio De Bono (1866-1944), già governatore della Tripolitania e ministro delle Colonie, viene nominato Alto Commissario per l'Africa Orientale con il preciso mandato di preparare la guerra. Il regime dà avvio a un'intensa campagna propagandistica, basata sui motivi della "missione civilizzatrice" dell'Italia e sulla necessità di dare terra e lavoro ai contadini italiani. Rispetto ad altre imprese coloniali italiane, la guerra d'Etiopia conosce una preparazione politica, militare e psicologica molto più accurata, nella quale l'organizzazione del consenso diviene essenziale e investe non solo gli apparati dello Stato ma l'intera popolazione. La guerra, anche se meno rapida di quanto ci si aspetti, si rivela un pieno successo anche dal punto di vista militare grazie a uno straordinario impiego di uomini e mezzi.
La Società delle Nazioni, della quale fanno parte sia l'Italia sia l'Etiopia, fallisce il proprio arbitrato e può solo limitarsi, nel novembre 1935, a imporre al paese aggressore alcune sanzioni, che vietano le importazioni dall'Italia e le esportazioni in tale paese di alcune merci ritenute necessarie al proseguimento del conflitto. Le sanzioni, oltre a non comprendere beni primari quali il petrolio, l'acciaio e il carbone (G. Federico, Sanzioni, in Dizionario del fascismo, a cura di V. de Grazia-S. Luzzatto, Torino, Einaudi, 2003, v. 2, p. 590) verranno sfruttate dall'Italia in senso propagandistico soprattutto nei confronti del fronte interno, e daranno il via, dal maggio 1936, alla politica autarchica, da allora base della strategia economica del fascismo italiano. Le sanzioni, che verranno abolite nel luglio 1936, non hanno comunque effetti sostanziali sulla guerra italiana, sia perché non riguardano Stati Uniti e Germania, estranee alla Società delle Nazioni, sia perché gli stessi paesi che le hanno sottoscritte le rispettano solo in parte, continuando a vendere all'Italia materiali di ogni genere, e persino armi.
Al fronte, i comandi militari italiani non lasciano nulla di intentato per conferire alle operazioni un carattere di guerra totale, chiedendo e ottenendo da Mussolini libertà d'azione per l'uso di armi chimiche e gas. I costi, umani e materiali, di questa avventura sono elevatissimi. La guerra terroristica, condotta anche con bombardamenti indiscriminati, e la superiorità militare, logorano in maniera decisiva la resistenza etiopica, provocando il crollo dell'esercito abissino e aprendo alle forze italiane la strada di Addis Abeba, occupata dal maresciallo Badoglio il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo viene proclamato l'Impero. L'occupazione di Addis Abeba suscita in Italia un entusiasmo inedito, che coinvolge larga parte della popolazione. Il regime raggiunge il punto più alto del consenso all'interno della società nazionale. Nel discorso per la proclamazione dell'impero, il 9 maggio 1936, Mussolini proclama che "il titolo di Imperatore viene assunto per sé e per i suoi successori dal Re d'Italia", ma tiene anche a evidenziare che il nuovo impero è una creazione del tutto fascista "perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano" (cfr. http://www.polyarchy.org/basta/documenti/impero.1936.html).
È il trionfo, ma anche l'avvio della crisi: la guerra d'Etiopia muta infatti, radicalmente, la collocazione internazionale dell'Italia e così il quadro diplomatico europeo, che comincia a essere contrassegnato dall'instabilità che lo caratterizzerà fino alla seconda guerra mondiale. La guerra abissina innesca un processo di guerre locali, atti di forza unilaterali e annessioni di territori che porterà inevitabilmente al conflitto. Ed è l'Italia fascista a mettere in moto tale processo, anche se a indirizzarne e a promuoverne gli sviluppi saranno presto anche altri protagonisti.