Nonostante quanto affermato dalla propaganda di regime, ad Addis Abeba, dopo la vittoria italiana, la vita non riprende affatto i suoi ritmi normali. Più della metà della popolazione non è rientrata in città e resta accampata sulle colline circostanti, mentre soldati isolati vengono attaccati di notte dai partigiani etiopi. Il 12 maggio 1936, Badoglio, decide di dare una dimostrazione di forza organizzando un'imponente rivista militare, ma proprio quel giorno, a Macfùd, a pochi passi dalla capitale, un'autocolonna dell'aeronautica viene attaccata e distrutta dai partigiani. A Mussolini che chiede di procedere a tappe forzate all'occupazione del territorio etiopico, un imbarazzato Badoglio risponde di trovarsi pressoché bloccato ad Addis Abeba, essendo la strada per Asmara impraticabile per il maltempo e gli attacchi dei guerriglieri. Il maresciallo comunica inoltre che anche i dintorni della capitale sono frequentemente attaccati dai ribelli. I soldati italiani che presidiano Addis Abeba sono nei fatti circondati da decine di migliaia di soldati etiopi, disorganizzati, senza comandanti, ma armati e recuperabili come forza militare da chi li voglia incitare alla rivolta contro gli occupanti. Quasi due terzi del paese sono ancora sotto il controllo di capi e funzionari del negus, e la dominazione italiana è quindi più nominale che reale.
Solo vecchi e screditati capi si sottomettono, mentre Mussolini chiede l'eliminazione dei giovani nazionalisti e degli intellettuali in grado di guidare la rivolta. Il duce ordina di fucilare sommariamente "i cosiddetti giovani etiopici". Badoglio cattura uno dei dirigenti del movimento, Kidanè Miriam, che non sarà neppure processato: scomparirà, probabilmente catapultato da un aereo in volo. A eliminare il gruppo dirigente dei rivoltosi provvederà in seguito Graziani, sicuramente più sollecito di Badoglio.
Il 26 maggio Badoglio lascia, su sua richiesta, Addis Abeba, e il comando viene assunto dal neo-maresciallo Rodolfo Graziani, che prende immediatamente atto di una situazione decisamente sfavorevole. I soldati hanno solo cento colpi per fucile, scarso è il munizionamento dei cannoni, quasi azzerata la benzina, poche le giornate di viveri disponibili. La situazione peggiora e nei primi dieci giorni di giugno si moltiplicano le voci su un imminente colpo di mano ribelle ad Addis Abeba.
Mussolini si convince che la conquista integrale del territorio etiope è impossibile nell'immediato e ordina di concentrarsi sulla repressione della guerriglia: "Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi", dispone con un telegramma del 5 giugno 1936. E ancora, tre giorni dopo, scrive a Graziani: "Per finirla con i ribelli impieghi i gas". Infine, in un crescendo inarrestabile, comunica: "Autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici". Graziani non si fa pregare: siamo all'inizio dei massacri, della “liquidazione generalizzata dell'intellighenzia etiopica, dell'apertura di nuovi campi di concentramento, della caccia ai preti copti e persino agli indovini” (A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. La conquista dell'Impero, Milano, Mondadori, 1992, p. 736). Come richiesto da Roma, viene instaurato il regime del terrore.
(I dati e le informazioni presenti in questa scheda sono tratti da A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. La conquista dell'Impero, Milano, Mondadori, 1992).